Adriana F.
26-04-2025
Se il panorama politico nazionale e internazionale rischia di paralizzare i buoni propositi, c’è chi non smette di portare avanti progetti virtuosi a favore delle persone e delle collettività vittime di abusi. Un caso emblematico, ricordato con particolare risalto dal quotidiano Avvenire [clicca], è quello di Don Luigi Ciotti, presidente nazionale di LIBERA, associazione impegnata da decenni nel promuovere l’uso sociale dei beni confiscati alle mafie.
Anche in un’intervista della RAI, trasmessa a notte fonda, Don Ciotti ha parlato dei risultati ottenuti convertendo le proprietà sequestrate in iniziative e progetti a disposizione delle comunità locali. Risultati non da poco come si può constatare sfogliando il Rapporto 2025 sui numeri dei progetti avviati e delle persone che vi partecipano.
“La società civile – ha dichiarato di recente Don Ciotti – si sta riprendendo piano piano quello che la criminalità organizzata le ha tolto. Oggi sono 1.132 i soggetti impegnati nella gestione dei beni confiscati, con oltre 600 associazioni, 30 scuole di ogni ordine e grado e numerosi gruppi locali che utilizzano questi immobili per creare nuove opportunità e un’economia positiva“. Tali realtà, trasformate in luoghi di aggregazione, di cultura e di welfare, oggi contribuiscono a riannodare un tessuto sociale più forte e resiliente.
I numeri aggiornati si trovano nel report “Raccontiamo il bene“[clicca], presentato da Libera il 7 marzo scorso, in occasione dell’anniversario della Legge n. 109/96, che regola il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie.
Secondo il rapporto, nel 2025 si registrano più di mille soggetti della società civile impegnati nella gestione degli immobili tolti alle mafie. Le iniziative svolte nelle proprietà che appartenevano ai boss sono diversificate e riguardano per il 56% attività di welfare e politiche sociali, di promozione culturale (25,9%), di agricoltura (9,9%), di produzione e lavoro (4,8%) e perfino di sport (3%). I maggiori traguardi sono stati realizzati nel Sud Italia, dove oggi si registrano 773 gestori del Terzo settore, mentre al Nord ce ne sono 267 e al Centro 92.
Quanto agli immobili sottratti ai clan, se ne contano quasi ventimila in tutta Italia in attesa che si concluda anche per loro l’iter giudiziario, mentre sono 18.159 quelli requisiti definitivamente e già assegnati a istituzioni, enti locali o Terzo settore, a cui spetterà il compito di “riciclarli” in iniziative con fini sociali.
Rispetto al 2024, i soggetti coinvolti sono aumentati del 6,2% e sono attivi in 398 comuni. La Sicilia è ancora la regione con il maggior numero di realtà sociali che gestiscono beni confiscati (297 soggetti). Seguono la Campania (186), la Lombardia (159) e la Calabria (147).
“Dietro ogni numero ci sono storie di associazioni e cooperative che hanno trasformato luoghi di malaffare in spazi di crescita, educazione e comunità. L’impegno collettivo ha rafforzato il nostro tessuto sociale e il supporto delle istituzioni è stato fondamentale, ma il percorso è ancora lungo” afferma Tatiana Giannone, responsabile nazionale dei Beni Confiscati di Libera. La sfida, insomma, è tutt’altro che vinta. Basti pensare che a livello europeo la criminalità organizzata vanta proventi stimati tra i 92 e i 188 miliardi di euro l’anno, ma meno del 2% dei beni illeciti viene effettivamente confiscato. La recente approvazione della Direttiva 1260/2024, la cosiddetta ‟legge Rognoni-La Torre europeaˮ, potrebbe però segnare un punto di svolta nella lotta contro le mafie, accelerando la confisca dei patrimoni criminali anche fuori dall’Italia.
Secondo gli addetti ai lavori, andrebbe anche rivisto l’iter burocratico per il disbrigo delle pratiche sulla destinazione delle proprietà confiscate: un percorso lungo e complesso che rallenta il processo di assegnazione.
In Sicilia, la regione a più alta densità di beni confiscati, il numero di quelli già destinati è di 6.437, mentre sono 8.206 gli immobili ancora da consegnare in vista di un riutilizzo socialmente valido. Seguono, per numero di confische, la Campania (3.225) e la Calabria (2.920). Più distante risulta la Lombardia, che comunque dispone di 1.557 tra case e terreni sequestrati ai clan. Meno numerosi sono i beni già destinati nel Lazio (862) e nelle regioni del Nordest: 234 in Veneto, 68 in Friuli Venezia Giulia e 3 in Trentino Alto Adige.
Va infine ricordato che tra i beni sequestrati alle mafie figurano anche molte aziende “inquinate”: 2.823 sono le imprese tenute in gestione, 1.521 quelle già destinate a manager rispettabili.
Nonostante la soddisfazione per i buoni risultati riportati di anno in anno, ottenuti da e con gli oltre mille soggetti della società civile che gestiscono gli immobili tolti alle mafie, sul terreno del contrasto all’illegalità il lavoro da svolgere è ancora molto. Non solo perché oggi i giovani manager mafiosi sono più istruiti e più astuti nel mimetizzarsi, e anche meglio consigliati da stuoli di abili avvocati, ma soprattutto perché la presenza mafiosa è ormai ampiamente infiltrata in Europa.
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