Oro blu: la corsa all’acqua – parte terza

Già messo a dura prova dalla scarsità d’acqua e dalle tensioni politiche, l’arido Medio-Oriente lungo i fiumi Tigri ed Eufrate sta perdendo riserve d’acqua critiche a un ritmo rapido, in Turchia a monte come più a valle in Siria, in Iran e Iraq.

Eraldo Rollando
Data 1-09-2021
La storia del Medio Oriente ci parla di un territorio che, a ragione della fertilità del terreno, della presenza di quattro grandi corsi d’acqua  – Nilo, Giordano, Tigri, Eufrate – e dell’ingegno dell’uomo, ha visto nascere in tempi lontani l’agricoltura e, con essa, lo sviluppo dell’Umanità.

Mappa della “Mezzaluna fertile”

Quel territorio, qualche millennio più tardi, negli anni venti del XX secolo, ha ricevuto un nome dall’archeologo James Henry Breasted dell’Università di Chicago: la Mezzaluna  fertile.
Un’immagine che evoca grandi spazi resi fertili da piccole e numerose comunità, lontane dagli attuali criteri di “modernità”. Ma oggi tutto sembra essere in difficoltà a causa di cambiamenti che stanno drasticamente mutando le caratteristiche dei territori
Uno studio realizzato dagli scienziati dell’Università della California (UC Irvine) (1) e pubblicato a febbraio del 2013 ha rivelato che, nel periodo 2007-2013,  il bacino fluviale del Medio Oriente, lungo i fiumi Tigri e Eufrate, ha perso 144 chilometri cubici d’acqua, una quantità pari a quella del Mar Morto. Proviamo a immaginarne le dimensioni fisiche: lunghezza 50 km, larghezza 15 km, profondità massima 306 metri. Impressionante, vero?

L’ex valle dell’Eden

Dietro questa perdita c’è la rapace mano dell’uomo e il modo col quale, per strategie sociali e politiche, gestisce i bacini idrici di cui dispone. Un controllo efficace dell’impatto sull’ecosistema permetterebbe di correggere le decisioni prese, ma nelle regioni politicamente instabili, come quella medio–orientale, è praticamente impossibile per gli esperti e gli scienziati stranieri effettuare misurazioni sul terreno.

Tuttavia l’utilizzo del satellite GRACE (Gravity Recovery and Climate Experiment) della Nasa, messo in orbita per lo studio delle forze di gravità e del clima, ha permesso di ottenere le stesse informazioni; avere GRACE è “come avere una scala gigante nel cielo”,  ha detto l’idrologo Jay Famiglietti, ricercatore principale  dello studio e professore di scienze del sistema terrestre della UC Irvine.
“Non hanno così tanta acqua da cui partire, e sono in una parte del mondo che con il cambiamento climatico avrà meno precipitazioni. Quelle aree aride stanno diventando più secche”, è sempre Jay Famiglietti che parla.
Il cambiamento climatico, appunto, ma anche un marcato aumento della popolazione, l’inquinamento e la cattiva gestione delle risorse abbinata al forsennato accaparramento stanno ormai cambiando in modo radicale la fisionomia dei territori situati nel bacino idrografico dei due grandi fiumi. Chi è a monte cerca di fare man bassa a danno di chi vive a valle innescando tensioni e scontri armati, e questo è un refrain che abbiamo già incontrato sul Giordano e che incontreremo di nuovo lungo questo nostro viaggio -.

Un’area calda da tutti i punti di vista.
Tre Stati coprono il bacino dei due fiumi: Siria, Iraq e Turchia; inoltre a valle, dopo circa 2700 chilometri, l’Eufrate si congiunge al Tigri formando lo Shatt el Arab: 190 chilometri di confine fluviale tra Iraq e Iran, fonte di contese già dal XVII secolo, sfociate in un conflitto armato negli anni 1980-1988.

Quasi tutta l’acqua dell’Eufrate e circa metà del Tigri provengono dalla Turchia, la quale, sfruttando la sua posizione di vantaggio, non si è certo risparmiata e, men che meno, ha risparmiato acqua per dare vita ai suoi progetti di sviluppo agricolo e di autonomia energetica.
Il 19 maggio 2020, in occasione  dell’entrata in funzione della maxi-diga Ilisu sul fiume Tigri, nella provincia sudorientale a maggioranza curda di Batman, il presidente Tayyip Erdogan ha dichiarato che “dal 2002, quando il suo Akp (2) è andato al governo, in Turchia sono state costruite 585 nuove dighe”. La diga Ilisu è una delle più grandi e, per la sua costruzione, si è dovuto sacrificare “qualcosa”: quando il bacino sarà riempito totalmente l’antica città di Hasankeyf, 12000 anni di storia, uno dei più importanti centri della Mesopotamia,  sarà sommersa dall’acqua insieme ad altri 199 villaggi della zona.

Hasankeyf – Antichi edifici in fase di trasferimento

Nell’approssimarsi della conclusione dei lavori, il 4 luglio 2019 Rainews.it informava che “I circa tremila residenti rimasti dovranno traslocare nella new town costruita sulla collina di fronte entro un paio di mesi. Mentre alcuni dei millenari monumenti sono già stati portati via nei mesi scorsi con controverse operazioni fortemente criticate da diversi archeologi”.

Qualcosa di analogo aveva fatto nel 1960  Nasser con la costruzione della grande diga di Assuan, opera che prevedeva la formazione di un enorme bacino artificiale; il sito archeologico plurimillenario di  Abu Simbel venne spostato più a monte nell’arco di 4 anni. Non sarebbe fuori luogo il commento: ognuno ha i propri maestri e i propri interessi.
Le dighe turche hanno finito per aggravare la situazione dei territori siriani e iracheni, già inariditi dalle scarse precipitazioni, e quelli curdi i cui campi e villaggi sono stati sommersi dai laghi artificiali creati per irrigare altre parti dell’Anatolia e, si dice, per inviare acqua a Israele.

Nel Nord-est della Turchia

 Come non parlare del Bacino del fiume Çoruh? Un fiume ”minore”, definito “costiero”: nasce in Turchia, scorre parallelo al Mar Nero per 438 Km – un nano rispetto ai 2700 Km dell’Eufrate -, sempre in territorio turco, ad una distanza di meno di 200 Km dalla costa, per sfociare in mare dopo avere percorso un breve tratto in territorio georgiano.

Il fiume Coruh

“La valle di Çoruh si trova all’interno della zona ecologica del Caucaso, considerata dal Fondo Mondiale per la Natura (WWF) e da Conservation International come un hotspot della biodiversità.  La valle di Çoruh è riconosciuta dalle organizzazioni di conservazione turche come un’importante area naturale, e una rilevante area ornitologica: un’area chiave per la biodiversità, tanto da essere stata classificata come area di protezione ad alta priorità. Questa valle è ricca di piante e conta 104 specie vegetali minacciate a livello nazionale, di cui 67 endemiche della Turchia”. ( it.wikiqube.net)

Sorpresa! Sul corso principale del fiume e sui suoi quattro affluenti sono state progettate dalla Turchia 17 grandi dighe idroelettriche, delle quali 8 sono operative, 2 in costruzione e 7 in fase di progettazione. Mediamente, una diga ogni 16 chilometri; un bel record per una zona ecologica vocata alla conservazione della biodiversità.

Ma, non basta: in cerca di record, la Turchia ha costruito, sul suo percorso, la diga di Yusufeli, una delle più alte del mondo che, con i sui 270 metri di altezza, perde la competizione con la  Torre Eiffel per soli 32 metri.

Diga yusufeli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’acqua come arma di guerra
Non stupiamoci: rispetto alle politiche di accaparramento delle risorse idriche, può sembrare fuori tema parlare di acqua come arma, ma non lo è se si pensa con quanta disinvoltura  questo argomento è sempre stato trattato nel corso degli ultimi cento anni. Durante questo periodo si è  certamente sviluppata una maggiore consapevolezza della difesa dell’ambiente, ma nelle azioni dei governi tale consapevolezza non sembra avere avuto grande riscontro.
L’acqua ha svolto spesso un ruolo strategico nelle guerre, tanto da essere non solo origine di contese e conflitti, ma essa stessa arma durante un conflitto. Chi controlla un tratto di fiume può prosciugare l’area sottostante con qualche semplice diga, o minacciare di fare saltare una diga già esistente, e questa è un’arma di ricatto molto pesante.
“Nel corso dei secoli le dighe sono state usate come armi di distruzione di massa”, ha affermato il direttore della Ong statunitense International Rivers, Peter Bosshard. “Nella prima guerra dell’acqua mai registrata, oltre 4.500 anni fa, l’esercito della città-stato sumera di Umma ha prosciugato i canali di irrigazione contro i nemici di Lagash, nell’attuale Iraq, non lontano proprio dalla diga di Haditha. Un caso spaventoso si è verificato in Cina nel 1937: l’esercito di Chian Kai Shek ha distrutto gli argini del Fiume Giallo per rallentare l’avanzata dei giapponesi, inondando così centinaia di migliaia di chilometri quadrati di terra e uccidendo almeno 800mila persone”.

Non è un caso se nel suo progetto di espansione, lo Stato islamico del califfo al-Baghdadi nel 2014 ha cercato come prima mossa di occupare le aree dell’alto bacino dell’Eufrate che si trovano in Siria e le sponde dell’alto Tigri; di fatto, nel corso della sua guerra di espansione, l’Isis ha tentato più volte di utilizzare questo tipo di “arma”.
In breve si possono ricordare le città di Mosul, Falluja e Hadhita: il controllo delle loro dighe è stata una tattica utilizzata per la sottomissione delle città e delle relative popolazioni.
E’ nota la rilevanza strategica della diga di Hadhita sul fiume Eufrate: la seconda diga più grande dell’Iraq; presa di mira dall’Isis, se ne fosse entrato in possesso avrebbe controllato  il fiume, fonte idrica per trentadue milioni di iracheni, creando la premessa per una catastrofe umanitaria più grande dello stesso conflitto.
Mosul è la quarta diga più grande di tutto il Medio Oriente e, anch’essa, importante fonte energetica dell’Iraq. Fornisce acqua ed energia a milioni di cittadini. Se lo Stato islamico avesse scelto di distruggerla, la conseguente onda d’acqua avrebbe ucciso milioni di iracheni. Ciò non ebbe luogo per il tempestivo intervento USA a sostegno delle forze irachene e curde.
A Falluja, secondo quanto asserito da un leader della milizia filogovernativa, l’Isis aveva due obiettivi: “da un lato, vogliono sommergere le zone circostanti Falluja, ma l’attacco improvviso da parte delle forze [del governo] ha sventato questo piano; dall’altro lato, essi vogliono interrompere l’approvvigionamento di acqua ai governatorati delle zone centrali e meridionali onde conferire alla loro guerra una dimensione settaria”.

(Parte terza – continua)

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Note
Foto d’apertura: diga Ataturk, in Turchia, sul fiume Eufrate

  1. Irvine è la più giovane fra le Università della California. Fondata nel 1965 è riconosciuta per i programmi di studio di alto livello e gli importanti successi nella ricerca, UC Irvine è all’11° posto fra le università pubbliche statunitensi
  2.  Il Partito della Giustizia e dello Sviluppo(in turco: Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP) è il principale partito turco, con 316 membri del Parlamento turco, e ne controlla la maggioranza sin dal 2002. Il suo ex presidente, Binali Yıldırım, è il leader del gruppo parlamentare, mentre il suo fondatore e leader  Recep Tayyip Erdogan è Presidente della Turchia.(fonte Wikipedia)

 

Nella quarta parte del nostro cammino faremo un lungo balzo verso la zona dell’indo – pacifico, dove incontreremo il fiume Mekong, il quale è non solo un fiume, ma anche e soprattutto una regione che include Vietnam, Laos, Cambogia, Thailandia, Myanmar e la provincia cinese dello Yunnan: Paesi e  territori accomunati da radici storiche e aspetti del linguaggio, che nei secoli hanno prevalso sui confini fisici. Un’identità in cui è la risaia a dominare il paesaggio.
Ma … negli anni la regione si è trovata ad essere oggetto di crescenti tensioni, che hanno portato gli analisti a parlare, anche da quelle parti, di “guerra dell’acqua”.

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