Panafricanismo

Giulia Uberti
24-01-2019
Un anno fa veniva arrestato, a Dakar, l’intellettuale panafricanista Kemi Seba. Oggi Kemi Seba è di nuovo libero e, in azione. Ma di quale azione si parla?

Dove è nato e che quali sono gli obiettivi del Panafricanismo?
Il panafricanismo è un Movimento e una dottrina il cui obiettivo è l’unità dei popoli africani. Sembra che questa parola sia stata pronunciata a Londra la prima volta nel 1900 in corso ad una riunione convocata da un avvocato di Trinidad. Divenne la bandiera di ristretti gruppi di intellettuali neri d’America. Solo dopo la prima guerra mondiale, in Africa il movimento prese un deciso avvio in senso politico. Vennero organizzati 5 congressi dal 1919 e il 1945, quattro in Europa e uno a New York. Nel 1957 dopo l’indipendenza del Ghana il movimento prese un deciso avvio in senso politico grazie a Nkrumah che, divenuto Presidente del Paese, si fece promotore di un progetto per la creazione degli “Stati Uniti dell’Africa” cioè una federazione, o confederazione politica sovranazionale. Nkrumah si era già messo in luce nel Congresso panafricano del 1945. Il leader ghanese Kwame Nkrumah, fu il primo a portare un paese africano nel Fronte dei Non Allineati già alla prima Conferenza di Bandung del 1956, insieme allo jugoslavo Tito, all’egiziano Nasser, all’indonesiano Sukarno, al cambogiano Sihanouk, all’indiano Nehru e altri. Con la destituzione, e la morte, del grande leader ghanese Kwame, furono molti a pensare che il sogno panafricanista si fosse estinto.
Invece sono in molti a sostenere che questo sogno sia stato ripreso da un altro grande leader, Thomas Sankara, che nel 1983 prese le redini dell’Alto Volta trasformandolo in Burkina Faso e rendendolo in poco tempo un paese autonomo, autosufficiente e dignitoso, in piena lotta contro il neocolonialismo francese e statunitense, i cui agenti, con la complicità del suo vice Blaise Compaoré, assassinarono Sankara.
L’ideale di un’Africa unita ha avuto e continua ad avere tanti padri, alcuni dei quali poco noti ma dai grandissimi meriti politici ed intellettuali, che è pertanto bene ricordare, e ricercare: non solo il congolese Lumumba, ucciso ad indipendenza della Repubblica Democratica del Congo quasi appena avvenuta, ma anche il guineiano Sekou Touré, che per un certo periodo fu il massimo esponente del socialismo africano; Amilcar Cabral, che lottò contro il colonialismo portoghese che portò all’indipendenza la Guinea-Bissau e Capo Verde, ed anch’egli ucciso dalla polizia politica del regime di Lisbona. La lista si potrebbe allungare con altre significative figure storiche.
Dalla fine degli Anni ’80 era soprattutto Muammar Gheddafi a parlare di panafricanismo e ad impegnarsi per il raggiungimento di un’unità politica, economica e monetaria del Continente Africano. Naturalmente il Qa’id libico aveva già cercato, negli anni precedenti, fin dalla sua salita al potere, d’intervenire nella politica dell’Africa Nera, ma la sua azione in quel primo periodo s’era concentrata soprattutto sui paesi dove c’era una presenza musulmana, o dove i leader erano musulmani. Solo in un secondo tempo Gheddafi aggiustò la sua strategia allargandola a tutta l’Africa.
I primi ad essere infastiditi erano ovviamente i francesi: sappiamo benissimo come la decisione di Gheddafi di dar vita ad una nuova valuta panafricana, legata all’oro, che sostituisse il Franco CFA sia stata praticamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Da lì sono partite le bombe sulla Libia e l’assassinio di Gheddafi e di parte della sua famiglia, nonché la distruzione della Jamahiriya e dei suoi ambiziosi progetti panafricanisti.
La bandiera del panafricanismo, oggi, oltre che dal Sudafrica (storico alleato della Libia di Gheddafi) è portata avanti anche da moltissimi giovani, fra i quali, sicuramente Kemi Seba e Mohamed Konaré sono due esempi indiscutibili.

Fonti: web – Africa focus – Filippo Bovo

Mondo