Gabriella Carlon
19-11-2024
La sanità pubblica versa in una gravissima crisi, dopo anni di tagli ai finanziamenti: considerando la sola inflazione, dal 2010 al 2019 l’incremento medio è stato dell’1,2%, mentre l’aumento degli investimenti è stato dello 0,9%. Questo significa che si sono praticati tagli reali, anche senza tener conto di altri fattori concorrenti, quale l’aumento del fabbisogno.
Nel periodo del Covid vi fu un incremento delle risorse, per altro assorbito dalla pandemia, ma negli anni successivi, dal 2023 in avanti, si torna invece alla politica dei tagli reali, in barba alle cifre sbandierate dalla propaganda governativa, anche attuale. Infatti poco dicono le cifre assolute se non sono confrontate con la percentuale del PIL impegnata, con l’indice di inflazione, con l’aumento del fabbisogno, con il cambiamento della richiesta (considerato anche l’incremento della popolazione anziana) (1). Un’analisi dettagliata ed esaustiva dell’andamento della sanità pubblica e privata, dal 2010 in avanti, si trova nel 7° Rapporto GIMBE reso pubblico il 8 ottobre 2024 In esso si considerano anche gli effetti possibili dell’autonomia differenziata.(2).
La scelta di privatizzare la sanità pubblica appare chiara nella legge del 1992, quando si introduce la gestione aziendale delle unità sanitarie pubbliche e si apre al privato pagato dallo Stato (3). Successive modifiche attenuano solo in parte questa scelta decisiva. Nel generale clima del neoliberismo, il mondo politico di ogni colore (con qualche minoritaria eccezione) da allora ha abbracciato la causa della privatizzazione della sanità, convinto che il mercato avesse una intrinseca capacità di regolare il rispetto dei diritti. Bugia colossale, come si è ormai ampiamente constatato. Oppure si è scelto di privatizzare la sanità per soddisfare il desiderio di profitto del mercato, dimenticando quanto stabilito dalla nostra Costituzione. Se “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…” (art.32 della Costituzione) la sanità deve essere pubblica, come previsto dalla legge del 1978, che garantiva un servizio universale e gratuito, uguale per tutti. Del resto, se si afferma che la sanità è un diritto, non si può affidare al mercato la sua gestione, trasformandolo in una merce: il diritto viene così ignorato, perché i cittadini che hanno disponibilità finanziaria possono comprarsi le cure, chi non ce l’ha non può curarsi.
Va inoltre osservato che il passaggio è stato graduale, perché nella sanità si è introdotto un ulteriore elemento di confusione: la sanità convenzionata, ossia privata per quanto riguarda finanziamenti e profitti, ma pubblica per quanto riguarda i costi delle prestazioni, pagati dallo Stato. Questo ibrido dà al cittadino l’illusione della gratuità, mentre sottrae fondi alla sanità pubblica, magari per cure e interventi poco appropriati o addirittura non necessari. Infatti gli obiettivi della sanità pubblica e di quella convenzionata sono divergenti: la prima mira alla salute dei cittadini con la minor spesa possibile, facendosi quindi carico sia della prevenzione sia di servizi anche costosi ma necessari, la seconda ha come propria ragion d’essere il profitto in quanto deve rispondere agli investitori (che non sono benefattori), quindi sceglierà settori e pratiche particolarmente redditizi. Non voglio dubitare della deontologia professionale di tutti i medici della sanità convenzionata, ma è l’impianto generale che induce a mettere il profitto al primo posto, anziché considerare la salute un bene comune. Né inducono a ben sperare alcuni episodi di illeciti amministrativi o di accertamenti e interventi inutili, se non addirittura dannosi, che sono emersi nelle cronache di questi anni. Comunque, a giudicare dalla sua espansione, la sanità convenzionata, priva di fatto di una regolamentazione pubblica che ne controlli la funzionalità e le scelte operative, si rivela essere un settore che “rende” in modo cospicuo, creando veri e propri imperi economici. E non dimentichiamo la condanna penale per corruzione di Roberto Formigoni, Presidente della regione Lombardia e grande fautore della sanità convenzionata.
Ora siamo però a un punto di svolta conclusivo: avendo ormai la sanità pubblica tempi di attesa insostenibili, anche la sanità convenzionata è sempre meno in grado di rispondere alle richieste, tanto che il passaggio al privato diventa inevitabile (per chi se lo può permettere, ovviamente) portando così a completamento la privatizzazione. Si salvano per ora i ricoveri ospedalieri, ma è prevedibile che saranno la prossima tappa.
Di fatto, la spesa che grava direttamente sul cittadino aumenta progressivamente. Tutto ciò risponde alla concezione liberistica della società, dove solo l’individuo esiste e ha il compito di badare a se stesso, nella buona e nella cattiva sorte. A nulla servono appelli anche di prestigiosi scienziati in favore del salvataggio della sanità pubblica (4) che trovano poco spazio sui media e restano lettera morta.
In tale contesto prosperano le Assicurazioni, presso le quali il cittadino, privato del suo diritto alla salute, cerca di tutelarsi dalle incognite della malattia; ma purtroppo di solito chi non ha i soldi per curarsi non li ha nemmeno per pagarsi un’assicurazione. Inoltre non si può dimenticare quanto influiscano sulle assicurazioni le condizioni del soggetto: età, stato di salute, ecc. Ne consegue che i più bisognosi finiscono per restare esclusi. Anche le Assicurazioni comunque non sono enti benefici, ma procacciatori di profitto che giocano sulla paura della malattia: sarebbe questo un modo per realizzare e garantire un diritto?
L’altra strada che si è affermata, con l’appoggio dei Sindacati, è quella delle mutue integrative aziendali o di categoria, che ci riporta indietro di decenni, quando l’assistenza sanitaria era legata al tipo di lavoro svolto. Le prestazioni assistenziali garantite sono diverse da settore a settore in funzione dei contributi versati, quindi sono proporzionali al gradino sociale su cui si colloca il soggetto. Per non parlare di chi un lavoro non ce l’ha oppure naviga nel campo del precariato. Si attua così la perfetta antitesi al diritto universale, al principio di solidarietà e alla realizzazione dell’ uguaglianza reale.
Siamo giunti allo smantellamento di fatto dell’art. 32 della Costituzione, creando una disparità di trattamento che, nel campo della salute, mi pare davvero incompatibile con la superiorità di cui si vanta la cosiddetta “civiltà occidentale”. Il processo è stato lento e subdolo e gli alti strepiti dell’opposizione, che sembra accorgersi solo ora del disastro a cui ha contribuito, mi fanno venire in mente la storiella della rana bollita.
Prima di finire come la rana bollita, sarebbe saggio saltar fuori dall’acqua bollente e lottare per salvare la sanità pubblica.
_______________________________________________________________________________
Note
–1)
E&P Epidemiologia e prevenzione
Quotidiano sanità
–2)
7° Rapporto GIMBE
–3)
Percorsi di Secondo Welfare
–4)
Sanità 24 – Il Sole 24 Ore
Disclaimer e note legali (clicca per leggere – puoi rivendicare diritti di proprietà su riferimenti e immagini)
_________________________________________________________________________________