Referendum, partecipazione ai minimi storici

 

Interpretazioni e commenti apparsi sulla stampa all’indomani della consultazione.

Adriana F.
05-07-2022
Come ha scritto Michele Partipilo, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, (clicca) “Non ci voleva Nostradamus per prevedere il flop dei 5 referendum sulla giustizia”. Ed è proprio così. Nessuno avrebbe scommesso su un esito diverso dell’ultima consultazione referendaria, la più disertata in assoluto tra le tante indette nella nostra repubblica. Questa volta ha votato solo il 20,9% degli aventi diritto: un italiano su cinque. Dato allarmante, e per di più  aggravato dal simultaneo calo di affluenza alle elezioni amministrative, da cui dipendono le politiche per il territorio, l’economia e il tessuto sociale dei Comuni. E il cui esito potrebbe quindi ritorcersi contro chi ha preferito “andare al mare”, per usare le parole di un politico degli anni ’80.

Nel commentare i dati sull’affluenza al referendum, quasi tutti gli osservatori concordano su una criticità di fondo:  la complessa  materia giuridica oggetto della proposta, non accompagnata da una campagna di informazione capillare e chiarificatrice rivolta ai non addetti ai lavori. Come osserva Nando Pagnoncelli (clicca), presidente di Ipsos (società di ricerca), molti italiani si sono sentiti inadeguati a valutare le conseguenze dei cambiamenti proposti e hanno deciso di disertare le urne.
Al di là delle ragioni di merito, lo stesso autore ricorda che la partecipazione dei cittadini ai referendum è andata sempre più riducendosi nel corso degli anni, come se si fosse affievolita la consapevolezza della funzione e il concetto stesso di referendum abrogativo. A tale strumento di partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica, in Italia si è ricorsi in 18 occasioni per 72 quesiti complessivi. Ma negli ultimi 15 anni, precisa Pagnoncelli, il suo declino si è ulteriormente accentuato. Lo dimostra il fatto che 8 delle 9 consultazioni indette sono risultate non valide. L’unica che ha superato la soglia di votanti prescritta dalla Costituzione è stata quella del 2011, riguardante l’abrogazione della gestione privata dell’acqua e le norme che relative alla produzione di energia nucleare. Un chiaro segno che molti elettori non esitano a rispondere alla chiamata alle urne quando vengono consultati su temi comprensibili e di vitale importanza per tutti.
Un’altra causa del crescente disinteresse è stata individuata nella perdita di fiducia verso l’utilità reale di tale strumento. Spesso, infatti, la volontà popolare espressa attraverso i referendum validi è stata attuata in tempi lunghi o lunghissimi, e talvolta è stata addirittura ignorata, come nel caso della privatizzazione dell’acqua. Eppure il risultato referendario, secondo la dottrina prevalente, costituisce una fonte primaria del diritto, che vincola i legislatori al rispetto della volontà espressa dal popolo!

Preoccupato del mancato afflusso alle urne, Roberto D’Alimonte (clicca), docente di Scienze Politiche alla LUISS, intravede nell’assenteismo degli italiani un sintomo della crisi della democrazia che sta coinvolgendo anche gli altri paesi d’Europa, dove la partecipazione alle elezioni politiche risulta ancora più bassa della nostra (unica eccezione: la Germania). Come esempio riporta le legislative svoltesi in Francia il 12 giugno scorso, cui ha partecipato il 47,5% degli aventi diritto, mentre in Italia alle ultime politiche ha votato il 72,9% degli elettori.
Sempre sul flop del referendum, D’Alimonte aggiunge che le lentezze della politica nel rispettare i risultati del voto popolare hanno indotto gli elettori a sospettare che queste consultazioni siano faziose e vengano convocate solo per giochi di potere tra le leadership di partito o in funzione delle alleanze parlamentari. E aggiunge che Il crollo della fiducia nei partiti ha portato con sé il crollo della partecipazione”.
Altra discriminante citata dallo stesso autore è l’età anagrafica dei votanti. Di fatto si riduce il numero delle persone anziane che hanno vissuto esperienze di intensa partecipazione politica e sociale, mentre aumentano i giovani che non mostrano grande interesse per la cosa pubblica. Un problema di difficile soluzione, secondo D’Alimonte, che aggiunge: “Se i partiti non recupereranno credibilità e capacità organizzativa e se non si affronterà seriamente il tema della educazione alla democrazia, la disaffezione nei confronti della politica è destinata a continuare e con essa l’astensionismo.”.

Molto severo verso chi non si è presentato alle urne è il parere dell’avvocato Andrea Viola, che in un blog sul Fatto quotidiano (clicca) difende strenuamente lo strumento referendario definendolo “emblema della forma più alta della democrazia partecipata”. Viola comprende la delusione dei cittadini per i modesti esiti delle loro scelte nelle consultazioni valide, ma ritiene che disertando le urne “di fatto si legittima e si giustifica sempre di più il sistema della politica conservatrice e immobile”.

Grande sconforto è il sentimento dominante nell’articolo di Francesco Anfossi sulle pagine di  Famiglia cristiana (clicca). L’autore riconosce che gli ultimi cinque quesiti erano decisamente tecnici e “propugnati senza troppa convinzione persino dagli stessi partiti che li sostenevano”. Ma esprime apertamente la sua disapprovazione per quanto accaduto nel capoluogo siciliano, dove  oltre 90 presidenti di seggio e 84 scrutatori, senza alcun preavviso, non si sono presentati all’insediamento del seggio o hanno rinunciato all’ultimo momento all’incarico, ritardando in tal modo l’inizio delle operazioni di voto. Motivo della diserzione: la partita del Palermo per lo spareggio che avrebbe portato la squadra in serie B. Amaro il commento conclusivo: a Palermo la democrazia non vale una partita di calcio vista in poltrona…Una vergogna che una città tormentata e coraggiosa come Palermo, una città in cui la politica spesso costa la vita, proprio non meritava”.

 Di tono decisamente assolutorio è, invece, il parere di Michele Partipilo, sopra citato, che difende a tutto campo la decisione di astenersi dal voto. E ne spiega la ragione: “Ci sono temi come quelli presenti nei cinque quesiti sulla giustiziache non possono essere affrontati con il sì o con il no. Servono competenze specifiche, valutazioni tecniche, capacità politiche e di discernimento. Non è elegante scaricare sulle spalle di ignari elettori questioni che per anni partiti e magistrati si sono rimpallati con insostenibile leggerezza”.  Da qui la conclusione: “gli Italiani si sono mostrati più intelligenti dei loro politici rifiutando di sbrogliare una situazione complessa come il rapporto fra politica e giustizia”. Non votando, a suo parere, hanno dato  “uno schiaffo” a chi aveva proposto e sostenuto la consultazione popolare. Insomma, sembra dire l’autore, la politica faccia il suo dovere!

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