I tigrini e gli oromo, alleati nella rivolta contro il governo centrale, rappresentano il 40% dell’intera popolazione etiope. Una forza considerevole, che da sola non riesce a prevalere. Anche il fronte opposto pare non avere migliori possibilità. Un vicolo cieco in cui finalmente il buon senso sembra essere riuscito a fare breccia. A una fragile tregua è seguito un accordo di pace.
Eraldo Rollando
19-02-2023
Il Mondo era in piena pandemia da Covid 19 quando, nel novembre 2020, le truppe dell’Eritrea entrarono nella città etiope di Axum, nella Regione del Tigray, la parte settentrionale dell’Etiopia. Ne abbiamo parlato in un precedente articolo (clicca per approfondire).
Fu il prologo del disastro che sarebbe accaduto in seguito, innescato anche dal divieto del governo federale di svolgere elezioni in quel territorio durante il periodo di pandemia da Coronavirus. Sono passati quasi 26 mesi, e da allora l’Etiopia è sprofondata in un baratro disseminato di morti e feriti, il cui numero continua a essere incerto per il black-out alle notizie imposto dalle autorità federali.
Senza ombra di dubbio l’emergere di un mal celato desiderio del regime etiope di “mettere in riga” i dissidenti ha contribuito irritare i governanti del popolo tigrino e oromo, da sempre insofferenti alle leggi del governo centrale, al peso del tallone federale, spingendoli a chiedere l’indipendenza con la forza delle armi. Una decisione costata parecchio in termini di sofferenze, fame e morti.
Oltre alle vittime e ai feriti, sono circa 5,2 milioni le persone che oggi hanno bisogno di urgenti aiuti umanitari nelle regioni del Tigray, di Amhara e Afar dove, forse pretestuosamente, le autorità centrali hanno vietato da tempo l’accesso degli aiuti umanitari.
La guerra si è protratta nei due anni con alterni successi. L’esercito federale è sempre rimasto piuttosto debole per mancanza di uomini e di attrezzature belliche moderne, e questo nonostante l’aiuto di alcuni contingenti forniti dall’Eritrea (da sempre insofferente della vicinanza dell’etnia tigrina) e l’acquisto di diversi armamenti tra cui alcune decine di droni (forniti da Russia, Cina, Turchia, e anche dall’Iran). Di fatto le forze di Makallé, supportate da contingenti della Regione Oromia, erano riuscite a spingersi a poche decine di chilometri dalla capitale federale Addis Abeba, creando uno stallo nei combattimenti.
Una tregua finita male
A marzo 2022, il premier etiope ha dichiarato una “tregua umanitaria a tempo indeterminato” con la cessazione immediata delle ostilità, per consentire “il libero flusso di aiuti umanitari a coloro che necessitano di assistenza”
In una dichiarazione inviata ai media, il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray si è subito impegnato “ad attuare una cessazione delle ostilità con effetto immediato”, e ha esortato le autorità etiopi ad accelerare la consegna degli aiuti di emergenza.
Purtroppo, dopo una pausa di cinque mesi e con reciproci scambi di accuse, i combattimenti sono ripresi mandando in frantumi la fragile tregua.
In cerca di pace
A dare la misura della tragedia, Focusonafrica.info in un articolo del 16 gennaio, riferisce di un’intervista del Financial Time all’alto rappresentante dell’Unione Africana per il Corno d’Africa, Olusegun Obasanjo, ex presidente della Nigeria e mediatore tra il governo etiope ed il TPLF (Fronte Popolare di Liberazione del Tigray) durante gli accordi di Pretoria (di cui parliamo più avanti). Nell’intervista Obasanjo ha affermato che i morti (civili e militari) derivati dal conflitto nel Tigray, potrebbero essere 600.000. I ricercatori dell’università di Gand in Belgio, tra i primi a eseguire uno studio sulle ripercussioni del conflitto, hanno definito “verosimile la dichiarazione di Obasanjo, considerando plausibile che, nel numero totale delle vittime, i civili morti possano essere compresi tra le 300.000 e le 400.000 unità”.
Fortunatamente, nonostante la ripresa delle attività belliche, i colloqui fra le parti non sono stati interrotti ed è proseguito, pur nel massimo riserbo, il difficile lavoro di paziente ricucitura.
A metà settembre 2022 i ribelli del Tigray si sono detti pronti a negoziare con il governo di Addis Abeba, sotto l’egida dell’Unione Africana (UA). La reazione ufficiale del governo federale si è avuta il 3 ottobre, quando Il primo ministro Aby Ahmed Ali ha sbloccato le ultime resistenze all’interno del suo governo commentando “Se non si può vincere, allora bisogna sedersi e parlare”.
E, questa volta, pare che le trattative di pace abbiano imboccato la giusta via.
Una via trovata a Pretoria in Sudafrica il 2 novembre, quando i contendenti hanno concordato di cessare le ostilità in attesa di firmare un vero e proprio accordo di pace. Accordo al quale è seguito, dieci giorni dopo in Kenia, un ulteriore incontro tra i vertici dei due eserciti per sancire il formale cessate il fuoco e il disarmo nella regione tigrina con la consegna delle armi pesanti all’esercito federale.
Una grossa incognita era rappresentata dalla presenza in Tigray delle truppe eritree che hanno combattuto a fianco dell’esercito etiope e che non sono state coinvolte direttamente nelle trattative. Un’incognita che ha manifestato, però, un primo segnale positivo a inizio 2023: il 3 gennaio il giornalista Enrico Casale, su Africarivista.it, ha citato la testimonianza rilasciata da alcuni testimoni oculari alla testata keniana The EastAfrican.“Ieri abbiamo contato fino a 30 camion pieni di soldati eritrei diretti verso la città di confine di Sheraro”, ha detto Belay Tsehaye, un residente della città di Scirè. Un altro residente, Tewelde Hagos, ha confermato di aver assistito al ritiro dei soldati eritrei su diversi camion pesanti. “Venivano dalla direzione di Axum e sono passati attraverso Scirè diretti verso il confine eritreo.” Si può ben sperare.
Contemporaneamente, nelle aree devastate dalla guerra, cominciano ad avviarsi le attività di ripristino dei servizi essenziali.
Nell’ottobre 2022, la BBC ha pubblicato le immagini satellitari che mappano il blackout elettrico nell’arco di due anni, mostrando come la capitale tigrina Makallé sia “scomparsa dalle foto satellitari della Nasa”. Il Tigray infatti è rimasto in gran parte tagliato fuori dal resto dell’Etiopia, senza servizi di base come elettricità, comunicazioni e banche.
Africa24.it, il 23 gennaio 2023 ha diffuso la nota dell’Ethiopian Electric Power (EEP), fornitore di energia elettrica di proprietà dello Stato, con la quale informava dell’avvenuto collegamento di Makallé alla rete elettrica nazionale.
L’accordo di pace ha rimesso in moto, altresì, la macchina degli aiuti umanitari nel nord dell’Etiopia. Stando a quanto riferito dai media etiopici, l’ex-presidente nigeriano Obasanjo ha dichiarato che“gli aiuti umanitari di emergenza sono stati ampiamente forniti nella regione del Tigray e sono stati avviati i servizi di base”. Lo stesso Obasanjo, come scrive l’emittente radiotelevisiva di Stato etiopica Fana, “ha apprezzato l’impegno del governo per ripristinare i servizi di base nel Tigray e rendere accessibili gli aiuti umanitari; e ha ringraziato i leader di entrambe le parti per l’ottimo lavoro svolto per l’accordo di pace”.
Tutti questi segnali fanno ben sperare sulla solidità del desiderio di pace delle parti. Ma molti passi dovranno susseguirsi prima che gli etiopi delle varie etnie travolte dalla guerra dimentichino gli orrori, i lutti, le sofferenze e le angosce patite.
“Non c’è pace senza giustizia” non è uno slogan da agitare, ma un criterio che dovrà muovere tutti i politici del grande Paese del Corno d’Africa; e questo significa rendere giustizia a chi è stato vittima di abusi, perché perfino in un conflitto armato non tutto è lecito (ammesso e non concesso che si possa parlare di liceità della guerra per risolvere le vertenze tra i popoli). E lo stesso discorso vale anche per gli abusi commessi dalle forze eritree coinvolte nel conflitto e non ancora completamente ritirate entro i loro confini.
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