Da molto tempo la Repubblica haitiana vive una crisi economica e sociale che ha complicato una situazione già estremamente grave. La capitale Port-au-Prince, come le principali città del Paese, è paralizzata dalle bande armate, gruppi violenti di disperati cresciuti esponenzialmente nel vuoto di potere istituzionale fino a diventare, ormai, l’unica autorità, grazie alla forza delle armi.
Eraldo Rollando
01-02-2023
Un noto sito, che reclamizza località turistiche da sogno, titola alcune immagini dell’isola caraibica Hispaniola, della quale la Repubblica di Haiti occupa la porzione più occidentale, ”Haiti è ideale per Relax, cibi e bevande, attività notturne, avventure all’aria aperta”.
Del tutto diverso è ciò che si legge su Wikivoyage.org che ospita in prima pagina un’allerta del nostro Ministero degli esteri:
“Attenzione: Il 7 luglio 2021, il presidente haitiano Jovenel Moise è stato assassinato. L’aeroporto internazionale di Port-au-Prince e il confine haitiano-dominicano sono stati chiusi. Evitare qualsiasi viaggio ad Haiti poiché le tensioni potrebbero aumentare. Se ti trovi ad Haiti, evita qualsiasi manifestazione e protesta in quanto potrebbe diventare violenta.
La Farnesina sconsiglia di recarsi ad Haiti a causa di disordini civili, criminalità e rapimenti. I servizi consolari possono essere limitati. Inoltre nel paese sono quasi del tutto assenti strutture sanitarie e vi sono nel momento epidemie di virus chikungunya, dengue ed il colera.
Avvisi turistici governativi .“
Quest’ultima, oggi, la realtà del Paese dove la popolazione soffre ogni sorta di privazioni, disagi e rischi. Situazione tanto allarmante che il Segretario Generale dell’ONU ha azzardato l’intervento di una forza internazionale per il ripristino dell’ordine e della legalità.
Già prima che fosse assassinato il presidente Jovenel Moise la violenza era presente nel Paese ad opera di gruppi di criminali forse non sostenuti, ma certo tollerati, dalle oligarchie interessate a mantenere alta l’agitazione e l’insicurezza allo scopo di coprire o favorire una corruzione che, l’autorità giudiziaria non riusciva a contrastare.
La vita sociale e l’economia stavano già scivolando verso un futuro dalle tinte fosche, mentre più della metà della popolazione era costretta a sopravvivere con meno di 2 dollari al giorno.
Il 7 dicembre 2019, due anni prima dell’assassinio del presidente Moise, il giornalista Patrick Etienne (1) in un articolo dal titolo significativo,“Così le oligarchie hanno lasciato marcire Haiti”,scriveva su frontierenews.it: “Il lettore che non ha familiarità con il contesto haitiano potrebbe supporre che basti mettersi al computer e iniziare a digitare parole. Beh, non è così. Un calo di corrente mi ha lasciato senza elettricità per quasi un mese. Nel frigo il cibo è marcito da tempo, le notti sono buie e l’elettricità non può essere ripristinata perché le strade sono barricate. Non potendo alimentare il mio computer a casa, sono dovuto andare altrove per farlo, a 10 minuti a piedi. Lì il servizio elettrico, sebbene irregolare, non è stato interrotto. Per arrivarci ho attraversato barricate, a volte in fiamme, e rischiato di essere attaccato da teppisti (i sedicentimilitanti) armati di pietre e bottiglie. Potrebbero avvicinarsi in qualsiasi momento e provare a prendermi computer e telefono. Niente è stato semplice da quando il movimento del “paese bloccato” (“péyi lok” , in creolo haitiano) ha paralizzato il Paese.”
Dopo oltre un anno, il vuoto di potere lasciato dal presidente assassinato non è ancora risolto e la sua morte ha segnato l’inizio di una catastrofe. La drammatica crisi istituzionale ha permesso alle fazioni politiche di contendersi la via al governo senza curarsi dell’aggravarsi delle violenze e della già grande instabilità, e ha lasciato che bande di strada si fronteggiassero e spadroneggiassero, incuranti delle migliaia di persone per le quali, tra l’altro, accedere a cure mediche diventa letteralmente un percorso ad ostacoli, se non a rischio della vita.
Ciò accade nelle principali città e, in particolare, nell’area metropolitana di Port-ou-prince nella quale vive circa un quarto dei quasi undici milioni di abitanti del Paese. Non è possibile comprendere il perché si sia pervenuti a questa tragedia se non percorrendo la travagliata storia istituzionale, economica e sociale dell’isola.
Nello stesso tempo, prima di procedere oltre, non possiamo trascurare il ricordo dei due recenti terremoti che colpirono Haiti nel 2010 e nel 2021 (vedi il Box a lato). In particolare, quello del 2010 che con circa 300mila vittime e le distruzioni di abitazioni e strutture pubbliche , soprattutto a Port-au-Prince, fu particolarmente devastante.
A distanza di tredici anni non ci sono tracce visibili del terremoto ma la ricostruzione è stata fatta tra sprechi e inefficienze e pochi sono stati i benefici per la popolazione che continua a subire ogni sorta di mancanze e di abusi.
Alcune vicende dell’isola Hispaniola
Hispaniola è stata la prima colonia europea nel Nuovo Mondo, fondata da Cristoforo Colombo nei suoi viaggidel1492 e 1493. In quell’epoca era abitata da una cospicua popolazione india, formata soprattutto dall’etnia Taino.
Dichiarata da Colombo possedimento spagnolo, venne colonizzata da migranti provenienti dalla Spagna, attirati dal miraggio dell’oro di cui si favoleggiava in patria, che entrarono presto in conflitto con la popolazione locale.
Le ripetute ribellioni diedero luogo a sanguinose repressioni che, assieme allo sfruttamento e alle malattie giunte con i colonizzatori, finirono per portare all’estinzione dei Taino nell’arco di due decenni. Per rimpiazzare la monodopera locale si ricorse all’importazione di schiavi neri dall’Africa, che iniziarono a coltivare la canna da zucchero.
L’isola era ricca di metalli preziosi e, verso la metà del Cinquecento, esauriti i filoni di più facile accesso, fu abbandonata dalla maggior parte dei bianchi, che si trasferirono su più ricchi territori. La sua economia divenne quindi esclusivamente agricola.
Nel tempo l’isola divenne nuovamente preda di corsari francesi, olandesi e inglesi. Alla lunga furono i francesi a prevalere e a prendere possesso della parte occidentale, scalzando la Spagna da quell’insediamento.
A metà del Seicento Parigi la riconobbe come colonia, con l’approvazione di Madrid. Le due colonie, quella francese a ovest e quella spagnola a est, convissero autonomamente e in pace fino a inizio Ottocento quando movimenti rivoluzionari, sorti tra la popolazione nera per ribellarsi alla nuova condizione di schiavitù, diedero inizio a un periodo di destabilizzazione dell’isola.
La rivolta portò all’emancipazione dei neri, che fu mal tollerata dalla popolazione bianca per le differenze etniche e culturali che si erano consolidate nel tempo.
Come sarebbe accaduto successivamente in altre parti del mondo, con la tratta in schiavitù di giovani africane, si creò nell’isola l’etnia creola (mulatta) formata da figli dei padroni bianchi e degli schiavi africani. I creoli erano liberi ma venivano trattati come cittadini di seconda classe dalla minoranza bianca.
Hispaniola si trovò quindi residenti bianchi, neri e creoli che, nel tempo, iniziarono a entrare in conflitto tra di loro. Dopo varie vicende dai risvolti tragici, che coinvolsero anche le potenze europee, Hispaniola tornò all’assetto della metà del Seicento, con la presenza di Haiti e Santo Domingo che proseguirono le loro vicende politico-sociali su binari diversi.
Haiti – Un Paese dal passato burrascoso
Nel 1804, Haiti riuscì a sottrarsi al dominio francese e al regime di schiavitù imposto ai neri autoproclamandosi Repubblica, divenendo così la prima repubblica governata da neri. A capo del nuovo Stato fu designato Jean-Jacques Dessalines, un ex schiavo nero che si era distinto nella rivoluzione contro la forza di occupazione di Parigi. Personaggio violento e brutale, si scagliò soprattutto contro la popolazione bianca, incautamente rimasta sul territorio, sterminandola. Spagna, Francia e Stati Uniti sabotarono il Paese isolandolo economicamente e quando Dessalines, per mancanza di forza lavoro, impose ai neri con un decreto militare di tornare al lavoro nelle piantagioni, fu catturato e ucciso in un’imboscata: era il 1807.
La conseguenza fu lo scoppio di una guerra civile fra la popolazione nera e la minoranza mulatta che gettò il Paese in un lungo periodo di disordini e insicurezza, seminando germi che prolungano i loro effetti fino all’attuale situazione. Le rivolte cessarono solo nel 1820, quando il presidente mulatto J. P. Boyer riuscì ad affermare il suo dominio. Qualche anno dopo, le condizioni economiche e finanziarie di Haiti, già stremate dalla guerra civile, finirono per aggravarsi a causa di un pesante indennizzo finanziario preteso dalla Francia in cambio del riconoscimento dell’indipendenza. Quando Boyer venne rovesciato (nel 1843) iniziò un’altra fase di instabilità politica che si protrasse fino al 1915 e durante la quale tutti i presidenti furono uccisi o deposti da insurrezioni o colpi di Stato.
In quel periodo, con l’apertura del Canale di Panama, Haiti assunse importanza strategica nell’area caraibica. L’uccisione dell’ultimo presidente nel 1915 diede agli statunitensi il pretesto di entrare in scena per controllare la rotta commerciale tra gli USA e il Canale: il territorio haitiano fu invaso e come conseguenza i depositi d’oro di Haiti furono confiscati. Inoltre fu riformata la costituzione e fu sciolto l’esercito.
Quando vent’anni dopo gli americani lasciarono l’isola, in stile prettamente coloniale, cedettero alla popolazione qualche infrastruttura, ma lasciarono un’economia a pezzi.
Tra il 1935 e il 2004 si succedettero cinque presidenti, un paio dei quali, come in un gioco di porte girevoli, uscivano e rientravano al potere per abbandonarlo successivamente. Tutti e cinque, comunque, adottarono metodi di governo a dir poco “sconsiderati” e furono costretti all’esilio o alla fuga.
Con la successiva presidenza di René Préval,i sempre presenti oligarchi ebbero l’opportunità di mettere le mani sulle imprese statali con la scusa di ristrutturarle. Ma il loro vero obiettivo era di impoverirle attraverso liquidazioni, furti e azioni di sabotaggio, tra cui il rapimento di direttori di agenzie statali. Le imprese, così svalutate, furono poi vendute a beneficio dell’oligarchia stessa.
Le tre presidenze che si succedettero dal 2015, quelle di René Préval, Michel Martelly e Jocelerme Privert, non brillarono certo per saggezza amministrativa e specchiata virtù, tanto da dare luogo al grave caso di corruzione che ha preso il nome di “PetroCaribe” (Clicca per approfondire)
Lo stesso Privert , inoltre, stornando sconsideratamente 3 miliardi di dollari dagli appalti per la protezione delle frontiere, ancora una volta a vantaggio degli interessi delle oligarchie, permise che i confini e le acque di Haiti divenissero preda di gruppi criminali dediti al contrabbando di uomini, droga e armi: il tutto reso possibile dall’assenza di un esercito haitiano, che avrebbe dovuto presidiare le frontiere, ma che era stato sciolto venti anni prima da Jean-Bertrand Aristide, predecessore di Préval.
Tornando agli ultimi anni , troviamo al governo di Haiti il presidente Jovenel Moïse che, avendo preso il potere nel 2017, dopo due anni di proteste popolari, fu accusato di essere coinvolto nello scandalo Petro Caribee, come abbiamo visto, fu assassinato. Era il 7 luglio 2021. Da quel momento nulla è cambiato.
Che abbia ragione il Segretario Generale dell’ONU Guterres nel voler invocare l’intervento di una forza internazionale per il ripristino dell’ordine e della legalità?
Nessuno, fino ad ora, ha raccolto il grido di dolore di António Guterres. Forse la gerla delle speranze non contiene la voce “Haiti”?
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Note
- Patrick Etienne è vicepresidente dell’Institute de la Nouvelle Haïti / New Haiti Institute, un think tank sul coinvolgimento della società civile nel quadro più ampio di un approccio pluridimensionale ai problemi che riguardano Haiti.(frontierenews.it)
Immagine di apertura: credit Mondo e Missione
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