Il gas di Gaza

Nel mare di Gaza, davanti alla Striscia, un enorme giacimento di gas potrebbe risolvere ogni problema economico e sociale alla popolazione di Palestina e dare un futuro di pace stabile a Israele. Troppi attori però sono interessati a evitare che ciò accada.

 Eraldo Rollando
23-10-2024
600 metri sotto il livello del mare, è lì che, tre decenni fa, venne scoperto un tesoro che avrebbe potuto risolvere tutti in problemi economici e sociali dei palestinesi della Striscia e di Cisgiordania: il più grande giacimento di gas del Mediterraneo orientale, il Gaza Marine, 36 chilometri al largo, nelle acque territoriali palestinesi di fronte alla Striscia, un giacimento stimato in 39 miliardi di metri cubi del valore di 4 miliardi di dollari.
E non solo lì, secondo la U.S. Geological Survey (agenzia del governo degli Stati uniti), altri giacimenti di gas e petrolio si trovano sulla terraferma a Gaza e in Cisgiordania.
Nel 1999, l’allora presidente dell’Autorità nazionale palestinese (ANP) Yasser Arafat  (in carica dal  1994 al 2004) firmò un accordo con un consorzio formato dalla britannica British Gas e dalla compagnia privata libanese Consolidated Contractors per la perforazione e lo sfruttamento di Gaza Marine, nonché la costruzione di un gasdotto.
 L’accordo prevedeva di destinare i diritti di sfruttamento  per il 60% alla B.G, il 30 % alla CC e il 10% al Fondo d’investimento dell’Autorità palestinese. Avrebbe potuto essere un potente strumento economico di pace: vennero perforati due pozzi, poi tutto si fermò ad opera di Israele, per la sua pretesa di acquistare tutto il gas a prezzi irrisori.
Il 28 settembre 2000 esplose a Gerusalemme una rivolta, nota con il nome di seconda intifada che si estese in seguito a tutta la Palestina e che segnò la sorte di Gas Marine e il destino di quella popolazione.
In tutto il territorio si svilupparono fatti violenti che proseguirono per 5  anni (2000-2005), assumendo i caratteri di una guerra d’attrito che determinò l’invasione della Striscia di Gaza  e di parte della Cisgiordania ad opera delle forze di difesa israeliane.

Sebbene dal punto di vista legale i giacimenti di gas e petrolio appartenessero alla Palestina, Israele, che nel 2005 si era comunque ritirato dalla Striscia, prese su di essi il sopravvento congelando ogni iniziativa da parte dell’Autorità nazionale palestinese.
A complicare le cose, nel 2006 avvenne un fatto imprevedibile e scioccante che condizionò Gaza per gli anni a venire, fino all’oggi. Le elezioni per il rinnovo del Consiglio legislativo di tutti i territori, indette dal presidente dell’ANP Abu Mazen, succeduto a Yasser Arafat dopo la sua morte, si conclusero con la sorprendente vittoria di Hamas che sconfisse Fatah, il partito del presidente, e prese “possesso” della Striscia di Gaza. (1)
Una delle prime dichiarazioni della nuova Giunta fu quella di confermare il diritto di proprietà di Gaza sul giacimento Gaza Marine.
In risposta alla vittoria elettorale di Hamas, Israele decretò un embargo totale dell’enclave, con il controllo continuo dello spazio aereo e delle acque territoriali rendendo vana, tra l’altro, la rivendicazione di possesso del giacimento di gas.
Venendo ai giorni nostri, troviamo la Striscia distrutta da una guerra e la sua popolazione decimata e ridotta in condizioni miserevoli, a seguito della  risposta di Israele alla gravissima e sanguinosa incursione terroristica di Hamas il 7 ottobre 2023 sul suo territorio con massacro di civili (2).
L’attuale situazione politica e bellica non permette di “vedere” a breve un’area pacificata. E’ ben noto come il medio oriente sia pervaso da un groviglio di egoismi e di desideri di rivalsa, tenuti vivi da attori che nulla hanno a che vedere con il benessere delle popolazioni che sono chiamati a governare.
Ma ogni guerra prima o poi finisce, ed è auspicabile che in quel momento gli uomini di pace e di buon senso prevalgano nei due schieramenti.
Non si può, quindi, escludere che un progetto economico congiunto di sviluppo di Gaza Marine, tra Israele e Palestina, possa contribuire alla soluzione del conflitto, ridurre l’ormai centenaria spinta alla conflittualità e favorire la stabilità della regione. Visione utopica? Può darsi. La storia, però, ha dimostrato che le guerre soddisfano solo l’egoismo immediato di potere di alcuni a danno dei tutti.
Per i palestinesi, la convenienza  sarebbe rappresentata dalla possibilità di ricostruire le aree distrutte, migliorare infrastrutture e servizi pubblici, disporre di una fonte stabile e interna di energia, e per Israele una prospettiva di vita pacifica all’interno del proprio territorio.
Le trattative per lo sfruttamento di Gaza Marine nei vari anni trascorsi hanno proceduto tra improvvise interruzioni e timide riprese a causa della complicata situazione geopolitica dell’intera regione.
Anche recentemente Israele ha affidato l’incarico di attivarsi per la messa in produzione del giacimento alla nostra Eni, già presente nella zona del Mediterraneo orientale per lo sfruttamento del mega giacimento di Zohr davanti alla costa egiziana, al Fondo per gli Investimenti Palestinesi (Palestine Investment Fund, Pif ) e ad altre compagnie internazionali. Ma puntuale è arrivato l’intervento di quattro associazioni arabe, supportate da uno studio legale americano, per rivendicare a Gaza la proprietà legale del gas nella zona marina di competenza  della Striscia.
Una rinnovata pietra d’inciampo sul percorso di pace.

Attendiamo con fiducia e speranza che i già citati uomini di buona volontà facciano prevalere la loro voce.
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Note

In apertura un’immagine di Gaza

    1. “Le elezioni si conclusero con una sorprendente vittoria di Hamas che ottenne 74 seggi con circa il 44-45% dei voti (440mila) contro Fatah che ottenne il 41-43% con 45 seggi. Come ha fatto notare Lara Friedman, presidente della Fondazione per la Pace in Medio Oriente, che promuove il riavvicinamento tra israeliani e palestinesi, in nessun distretto della striscia di Gaza Hamas aveva ottenuto la maggioranza dei voti. «Attualmente, i bambini costituiscono circa la metà della popolazione di Gaza, il che vuol dire che solo una frazione della popolazione attuale del territorio ha mai votato per Hamas». Peraltro, un exit poll di quelle elezioni segnalava che «tre quarti degli elettori palestinesi volevano che Hamas cambiasse la sua posizione su Israele e circa l’80% sosteneva un accordo di pace» “. (fonte: The Post International )
    2. “1200 israeliani uccisi di cui : 859 civili, 281 soldati, 57 poliziotti, 10 membri dei Servizi di sicurezza, 100-200 persone  scomparse e  247 persone prese in ostaggio” (fonte: Wikipedia )
      Nella guerra di Israele contro Hamas a Gasa,  ” … tra il 7 ottobre 2023 e il 18 settembre 2024, almeno 41.272 palestinesi sono stati uccisi e 95.551 sono rimasti feriti, secondo il Ministero della Salute di Gaza (MoH) controllato da Hamas …” (fonte: Il Sole24Ore )

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