L’arroganza al potere

È uno dei tanti corsi e ricorsi storici, ma presentandosi in un contesto sempre considerato democratico e modello del mondo occidentale, il fenomeno è davvero preoccupante

Adriana F.
17-03-2025
L’insediamento al governo degli Stati Uniti di un arrogante miliardario, tra l’altro sostenuto da un supporter arci-miliardario, ha lasciato sgomenti gli osservatori politici più qualificati. E oggi sono in molti a temere che la novità sia foriera di “pianto e stridor di denti”. Perché, oltre a quanto accade negli Usa, anche in Europa si stanno verificando preoccupanti tendenze a invocare “poteri forti”, che portano in genere a votare per l’estrema destra.
Per gli statunitensi democratici che credono nella democrazia partecipativa si tratta di una prospettiva funesta perché  improvvisamente scoprono che il loro Paese sta slittando (con il consenso della maggioranza degli elettori) verso un’autocrazia con un capo borioso e autoritario.
Peggio ancora se quel capo non solo scardina molti apparati dello stato preesistenti, ma le dice più grosse di Capitan Fracassa (letterario soldato spaccone), promettendo a dritta e a manca orizzonti di gloria o applicando di punto in bianco drastiche misure punitive per chi non sta al suo gioco. E inoltre minaccia ipotetici pericolosi avversari o esilaranti ambizioni di espansione oltre confine. Si veda la dichiarazione di imminente annessione del Canada e della Groenlandia. Mica bazzecole!
Sempre in tema di raptus al limite del demenziale è il progetto di mettere lingua e di intervenire a modo suo nei confronti di Paesi e popoli lontani degli Stati Uniti che nulla hanno a che fare con il paese in cui è arrivato al potere. Basti pensare al  surreale (e per molti versi vergognoso) progetto per la striscia di Gaza.

Eppure questo singolare personaggio non è un dittatore: è stato votato dalla maggioranza dei cittadini americani e forse ha vinto proprio per le sue promesse mirabolanti, alle quali in tempi normali poche persone con la testa sulle spalle avrebbero creduto. Ma, a quanto pare, più le idee e le promesse sono sbalorditive, più attizzano la fantasia di chi cova un acre rancore verso il sistema che lo ha messo nell’angolo, causandogli serie difficoltà economiche o sociali. Da qui l’esultanza non solo di estremisti, suprematisti e simili aberranti categorie di elettori, ma anche di tanti comuni cittadini, scontenti dei governi recenti, che apprezzano l’affacciarsi sulla scena pubblica di uno “spacciatore di allettanti promesse”, come quella di far tornare “grande” la propria nazione. Anche a scapito dei paesi altrui, i cui diritti verrebbero ignorati di sana pianta.

Quasi sempre questo fenomeno si verifica in seguito alle conseguenze di una guerra che ha lasciato distruzioni e incertezze economiche difficili da risolvere in tempi brevi. Ma ci sono eccezioni. Può accadere infatti che un leader politico esaltato e fuori di testa rispolveri con i suoi discorsi vecchi rancori verso il regime democratico consolidatosi: rancori campanilistici o legati a questioni razziali, mai davvero sedati e pronti a essere risuscitati dal “carisma” (le virgolette sono d’obbligo) di un esaltato agitatore politico che punta a occupare il ruolo di primo cittadino della nazione. Per fare, ovviamente, quello che considera più vantaggioso per lui e per i suoi “amici” miliardari, non certo disinteressati.
In simili situazioni, insegna la storia, è facile che anche gli individui estranei alla politica alzino le antenne sentendosi chiamati in prima persona dal nuovo “messia”. Anche perché costui promette sostanziosi benefici ai suoi elettori e gravi punizioni ai supposti responsabili di tutti i mali della società.
In questi casi, il vero problema è che gran parte della popolazione crede ciecamente alla buona fede del candidato. Il quale, invece, come tutti del resto, sta solo portando avanti  un’abile propaganda elettorale, sovvenzionata profumatamente da molti fan esagitati, e in particolare da aziende e individui arciricchi, ovviamente interessati ad avere in cambio favoritismi di vario genere, e in primo luogo una diminuzione delle tasse sui rispettivi profitti. Cifre in qualche caso astronomiche, la cui tassazione potrebbe rimpinguare le casse dello Stato, che potrebbe di conseguenza migliorare gli aiuti e i servizi sociali a favore delle fasce più deboli della società.
Invece le ultime elezioni negli USA hanno sancito il primato dei miliardari anche in ambito politico. Come in molti Paesi, anche negli Stati Uniti molti elettori sono “boccaloni”: si fanno abbindolare da promesse stratosferiche e in seguito restano convinti di aver votato bene anche quando le loro condizioni non stanno affatto migliorando. Li rende felici la sola idea che il loro Paese sia “tornato ad essere grande”.
Non va poi dimenticato l’aspetto sovversivo del fanatismo pro-Trump, visto che nel recente passato branchi di suoi fan hanno cercato addirittura di assaltare con le armi il Parlamento statunitense, non essendo convinti che Trump avesse perso le elezioni contro Biden. Un assalto post-elettorale armato, unico nel suo genere e concepibile solo negli USA, dove il possesso di armi di ogni tipo è a tutt’oggi un diritto fondamentale riconosciuto a ogni cittadino.

Uno scenario politico così sgangherato assomiglia sempre più alle tifoserie fanatiche del calcio, piuttosto che a formazioni di cittadini convintamente democratici. Il guaio (per noi) è che un simile scenario riguarda lo Stato che, fino a tre mesi fa, avrebbe dovuto garantire la difesa delle democrazie europee  contro eventuali espansioni territoriali del pericolo “rosso”. Invece, a sorpresa, il nostro “protettore” d’oltre oceano ha dichiarato che su questo terreno le cose devono cambiare radicalmente. Basta protezione della Nato: gli europei dovranno moltiplicare i loro armamenti e di conseguenza l’Europa dovrà mettere in conto molte più spese militari e, inutile dirlo, dovrà acquistare le nuove armi dagli Stati Uniti!  
In un futuro molto prossimo, insomma, i Paesi dell’UE dovranno spendere di più per armarsi, anche se questo costringerà a ridurre notevolmente le spese comunitarie per le politiche sociali, già insufficienti rispetto alle necessità della popolazione italiana ed europea.
La prospettiva è stata subito accolta dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che pochi giorni fa ha lanciato il piano “ReArm Europe”, per il quale la previsione di spesa è di 800 miliardi di euro. E questo senza avere alcuna prospettiva di poterci riarmare bene e in fretta contro l’ipotetico spauracchio (al momento assai poco credibile) di un’invasione russa.
Su tutt’altro versante, i miliardari nostrani potranno rilassarsi dalla stressante fatica di accumulare ricchezze recandosi sulle spiagge della “Costa Azzurra del Medio Oriente”, [vedi video poco sopra] ovvero nella Striscia di Gaza definitivamente sgomberata dai  legittimi abitanti palestinesi, fatti evacuare forzatamente e indirizzati verso altri Paesi nordafricani, in aperto contrasto con le storiche risoluzioni dell’ONU.

 

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