Qualcuno, a posteriori, ha detto che c’era da aspettarselo, e forse ha ragione. Di fatto il primo cittadino “uscente” ha dovuto rinunciare al meritato riposo a causa dell’incapacità dei partiti ad accordarsi su una figura valida e non divisiva
Adriana F.
06-02-2022
Il ritorno in campo di Sergio Mattarella, forzato da un numero altissimo di voti, non sarà per lui una passeggiata, non solo per l’età avanzata, ma anche per l’impegno richiesto da una situazione ancora complicata dalla pandemia e da un parlamento in fibrillazione che guarda già proiettato alla campagna elettorale per le elezioni del 2023.
A essere soddisfatti di questo risultato “anomalo”, il secondo tra tutte le elezioni presidenziali della nostra repubblica, sono in molti. Lo confermano non solo i dibattiti in tv con esperti e personaggi famosi, ma anche i commenti dei cittadini intervistati dagli inviati dei telegiornali. Perfino le “chiacchiere da bar” e i commenti sui social, entrambi spesso ferocemente critici verso il governo e i politici, da qualche giorno sembrano aver messo il cuore in pace e declinano alcune espressioni ricorrenti: “meno male”, “era la cosa giusta da fare”, “lo si sapeva fin dall’inizio” o “io l’avevo detto”.
Naturalmente questi opinionisti improvvisati non sono qualificati per ragionare sui pro o i contro della scelta in questione, ma in un periodo di crisi, in cui molti italiani si sentono abbandonati dai partiti e li denigrano apertamente (talvolta con epiteti poco lusinghieri), la condivisione di un sentimento diffuso di fiducia nei confronti della più alta carica dello stato è un interessante indicatore. Significa, a mio parere, che la gente comune, inclusa quella meno istruita o meno sensibile ai doveri di comunità, sa riconoscere e apprezzare una figura istituzionale che ha dimostrato serietà, senso del dovere e pacatezza negli interventi anche quando ha richiamato con decisione le manchevolezze del nostro sistema che devono essere risolte.
A fronte di tanti consensi non mancano, però, le critiche. C’è chi non ha affatto apprezzato il dietro front di Mattarella dopo le sue numerose dichiarazioni di indisponibilità. “Nessuno lo ha costretto – ha affermato un mio interlocutore deluso da queste elezioni. – Bastava rispondere: No, grazie”.
Sul piano della coerenza non si può certo dargli torto, ma chi è disposto a chiudere un occhio su questo aspetto ha una motivazione altrettanto valida: le alternative proposte erano poco o per nulla sostenibili, perché troppo deboli per ottenere la maggioranza dei voti o inadatte al ruolo o addirittura preoccupanti per il loro curriculum politico o istituzionale. L’unico nome che aveva a lungo catalizzato l’attenzione dei media, e in particolare della stampa, era stato quello di Mario Draghi, sebbene questa prospettiva avesse fin dall’inizio il fiato corto. Un trasloco del premier al Quirinale, infatti, avrebbe rischiato di mettere in crisi la multiforme alleanza che, pur tra qualche mugugno, aveva sostenuto il governo con l’obiettivo di garantirne l’efficienza necessaria a ottenere i contributi europei. Con un nuovo premier, la collaborazione di forze molto diverse avrebbe potuto sfaldarsi e causare un ritorno alle urne anticipato: un’eventualità irta di incognite per gli attuali parlamentari, sia per il minor numero di seggi disponibili in futuro, dopo il taglio di deputati e senatori approvato nell’ottobre 2019 (rispettivamente 230 e 115 seggi in meno), sia per la minore efficacia che avrebbe avuto una campagna elettorale organizzata in breve tempo. A fronte di questi timori, il binomio Draghi al governo – Mattarella al Quirinale dev’essere sembrato la soluzione più rassicurante in termini di stabilità e continuità.
Rispetto alle procedure delle elezioni, in questa occasione si è avvertita una crescente frenesia tra i votanti, sorpresi che si andasse tanto per le lunghe. Già dopo due giorni si sentivano dichiarazioni di impazienza. Come mai tanta fretta? Non ricordavano quanto era accaduto nelle precedenti elezioni presidenziali? O erano troppo giovani per aver approfondito la conoscenza delle procedure parlamentari? Forse. Ma potrebbe anche darsi che avessero già capito dove si sarebbe andati a parare. Ma questa ipotesi fa sorgere un’altra domanda: hanno forse barato consapevolmente, avanzando nomi improbabili, per dimostrare che non c’era un’alternativa valida alla scelta fatta nel gran finale? Non lo sappiamo, ma la girandola di comunicati e smentite, rilasciati a poche ore di distanza, ha dimostrato ancora una volta l’insipienza di parte della nostra classe dirigente perfino nei momenti istituzionali più importanti.
Tornando alla sensazione di sollievo di molti italiani, va comunque ribadito che la rielezione di un presidente della repubblica è un’anomalia, purtroppo non sancita dal dettato costituzionale. Commenta Tomaso Montanari sul Fatto Quotidiano del 2 febbraio: «Lo stesso Mattarella aveva detto […] che la prospettiva della rielezione può indurre i presidenti a porre le basi perché essa avvenga, facendo saltare così la funzione di garanzia della massima carica dello Stato». Dunque la riconferma del Capo dello Stato, quando da “eccezionale” diventa “normale”, «mina profondamente la Costituzione, creando molti, ma molti, più problemi di quelli che sperava di risolvere».
Verissimo. Ma come mai, allora, dopo il caso Napolitano nessuno si è preoccupato di proporre una riforma costituzionale che vietasse la riedizione di questa anomalia? Nessuno haintuito che un simile cambiamento avrebbe potuto ripetersi, sovvertendo una consuetudine consolidata che garantisce la nostra democrazia?
In assenza di un contesto politico e giuridico capace di vigilare sul rispetto dello spirito fondativo della Costituzione, non ci si deve sorprendere del comportamento poco rassicurante dei nostri partiti.