Oro blu: la corsa all’acqua – parte quinta

Cosa succede dalle parti del Nilo? Egitto ed Etiopia ai ferri corti?
Il generale al-Sisi alza la voce: non una goccia dell’Egitto deve essere toccata; il presidente Abiy Ahmad replica: non possiamo frenare la rinascita dell’Etiopia.
Il Sudan, invischiato in negoziati senza fine, rischia di subire gli effetti negativi della disputa.

Eraldo Rollando
13-10-2021

La Grande diga

Sul Nilo Azzurro, nel nord-ovest dell’Etiopia vicino al confine con il Sudan, compie 10 anni il progetto della GERD, acronimo di  Grand Ethiopian Renaissance Dam (Grande diga della Rinascita etiope). Era il 2 aprile 2011 quando aveva preso il via la sua costruzione, e siamo ormai alle battute finali.
L’impianto idroelettrico è pressoché pronto: a metà luglio 2021 è stato completata la seconda fase di riempimento del bacino, che permette di testare due turbine. Nel suo messaggio del 19 luglio 2021, riportato dall’agenzia stampa etiopica Ena, il vice primo ministro dell’Etiopia, Demeke, ha affermato che il secondo giro di riempimento della diga, appena concluso, “è un risultato storico che deve rendere tutti gli etiopi orgogliosi del loro lavoro e degli investimenti fatti”. 
L’investimento è ingente, trattandosi di 4,8 miliardi di dollari: 3 di origine patriottica, finanziati interamente dall’Etiopia con titoli di Stato e donazioni private per la costruzione dell’invaso e 1,8 per le turbine e le apparecchiature elettriche  fornite dagli USA e finanziate da banche cinesi.

GERD – La diga etiope della Rinascenza

Fin qui tutto bene, ma … non per tutti.

Secondo un rapporto del 2018 della Banca Mondiale, “Circa il 70% della popolazione etiope vive senza elettricità”; una volta a regime l’impianto fornirà elettricità a quella parte della popolazione che non ha mai visto accendersi una lampadina e otterrà al Paese anche buoni introiti per l’esportazione dell’energia prodotta in eccesso.  Sarà il più grande impianto idroelettrico dell’Africa e il settimo al mondo, costruito dall’azienda italiana Webuild S.p.A. (ex Salini Impregilo).

 

 

 

Tensioni sul Nilo

Se l’Etiopia esulta, Egitto e Sudan digrignano i denti.
Il Nilo è noto per le grandi alluvioni che durante il periodo delle piogge forniscono di limo le pianure che attraversa, rendendole fertili  e idonee all’agricoltura. Il Cairo, in particolare, teme di perdere il controllo su un corso d’acqua che ne ha plasmato il destino per millenni; è certo che un ridotto afflusso delle acque durante la stagione delle piene e la possibilità che Addis Abeba non rilasci acqua dall’invaso durante i periodi di siccità, rischia di creare grave danno al comparto agricolo sul quale si basano l’economia egiziana e quella del Sudan, oltre a generare problemi per la navigazione fluviale.
Ma non si tratta solo di questo: per  Sudan ed Egitto l’approvvigionamento idrico lungo il fiume, è comunque vitale per i territori che vi si affacciano.
A sud della diga – com’è noto, il Nilo scorre da Sud a Nord -, nel corso dell’anno cadono circa 1.160 millimetri di pioggia  con un massimo da giugno a settembre, mesi che raccolgono circa il 70% del totale; ed è questo il periodo favorevole per il riempimento dell’invaso, ma durante questa operazione Egitto e Sudan temono di ricevere poca acqua per l’agricoltura, e qui cominciano i guai.
Dal 2011 i due paesi premono affinché si pervenga a un trattato di rango internazionale che non lasci spazio a scappatoie o malintesi. Gli incontri per tentare di risolvere il problema della gestione delle acque sono stati molti, ma ogni volta le trattative mostrano di segnare il passo e tutto ricomincia da capo.
Non si dibatte più sulla possibilità che la diga possa esistere o meno, ormai c’è e ben piantata; il tema più critico sul tavolo è rappresentato dalle modalità e dai tempi di riempimento della diga, che non può avere luogo che una volta all’anno nei due mesi centrali delle piogge: Luglio e Agosto.
La discussione si è quindi spostata sulla definizione di questo crono-programma (da notare che si parla di anni per portare l’impianto a regime); l’Etiopia preme per pochi anni, Egitto e Sudan chiedono tempi molto più lunghi. Dal punto di vista etiope, limitare notevolmente i processi di riempimento, diluendo i ritmi in più anni, significa anche diminuire nel tempo i quantitativi di energia prodotta e rallentare il proprio sviluppo economico.
Per questo motivo, con una decisione unilaterale, nel luglio del correte 2021 Abiy Ahmed ha dato il via alla seconda fase di riempimento dell’invaso, con conseguente  riduzione del deflusso a valle. E già nel prima fase del 2020,l’approvvigionamento idrico del Sudan ne ha risentito pesantemente.

In questa trattativa, l’Etiopia è molto determinata e su posizioni rigide, ne fa una questione di diritto; secondo quanto riportato il 24/04/2021 da Huffpost, <l’acqua del Nilo non è un “monopolio dei Paesi a valle”, ha sottolineato il vice primo ministro etiope, Demeke Mekonnen, durante un incontro a Kinshasa, ma appartiene “a tutti quelli rivieraschi”>. E’ evidente come queste parole, ed altre pronunciate dal presidente Abiy Ahmed,  contengano un deficit di reciprocità e una scarsa propensione a un equo accordo verso gli altri due Paesi “rivieraschi”.
Il rischio di una pericolosa crisi regionale diventa concreto.

Una riunione del Consiglio di Sicurezza ONU

Nel timore che la disputa possa portare a un conflitto, il 15 luglio 2021 si è riunito il Consiglio di Sicurezza dell’Onu; la riunione si è conclusa senza un voto in quanto le parti, anche in quella sede, non sono riuscite a concordare un piano d’azione comune su un punto non secondario a quello del riempimento,  cioè un programma che permetta  di gestire la diga durante i periodi di prolungata siccità, che periodicamente colpiscono  la regione, attivando l’apertura dei canali di deflusso dell’acqua dall’invaso. Operazione che, come già segnalato, comporterebbe una riduzione della produzione di energia.
L’unico magro risultato è stata la dichiarazione di disponibilità da parte dell’Onu a facilitare ulteriori colloqui sotto l’egida dell’Unione Africana, “come da sempre auspicato dall’Etiopia”.
Basterà? Su tale prospettiva ci sono molti dubbi, anche se si farà tutto il possibile per scongiurare uno scontro armato tra i due Stati – il Sudan ha già parecchie “gatte da pelare” in casa – che metterebbe definitivamente in crisi il già precario equilibrio geopolitico nel Corno d’Africa.
C’è da notare, inoltre, che non converrà certo ad Addis Abeba aprire un nuovo fronte dato che, da qualche anno, è costretta a fronteggiare una guerra interna con lo Stato federato del Tigray.
Intanto i piani di sviluppo previsti dal premier Abiy Ahmed procedono anche su altri fronti, fortunatamente tutti “in casa”. L’Etiopia costruirà almeno 100 dighe di piccole e medie dimensioni in varie parti del Paese. Lo ha annunciato il premier  stesso il quale, secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa etiope Ena, ha detto che “questo è l’unico modo per resistere a qualsiasi forza contraria all’Etiopia”.
Sempre secondo l’Ena, il premier etiope ha spiegato che queste nuove dighe svolgeranno un ruolo efficace nella produzione agricola al fine di garantire la sicurezza alimentare. E ha aggiunto che la loro costruzione dev’essere sostenuta da tutti “gli etiopi, che devono unirsi per il bene dello sviluppo della loro nazione”.

Parole legittime ma che, se unite a tutte le altre pronunciate in varie occasioni, parafrasando l’infausto slogan dell’ex presidente Usa Donald Thrump, suonerebbero  “Ethiopia first”. Con tutti i guai che questo atteggiamento potrebbe causare con i paesi confinanti.

(Parte quinta – continua)

————————————————————————————————————————————-

Di prossima pubblicazione la parte sesta:
Il forte bisogno di energia pulita agita le acque di un fiume poco noto ai più. India e Cina si contendono il diritto di costruire dighe e invasi lungo il suo corso e il Bangladesh potrebbe subirne le maggiori conseguenze
.

————————————————————————————————————————————

Note
Foto in apertura: la GERD in costruzione

Dossier