Vittime del lavoro, il cordoglio non basta

Ogni giorno lavoratori e lavoratrici di tutte le fasce di età subiscono infortuni o perdono la vita nello svolgimento delle proprie mansioni. Uno stillicidio a cui nessun governo ha mai posto seriamente rimedio

Adriana F.
22-11-2021
Sembra quasi un bollettino di guerra il susseguirsi di notizie che riguardano le vittime sul lavoro. Spesso sono più di una al giorno. O molte di più, come accaduto il 28 settembre scorso, quando è stato raggiunto il picco di 7 tragedie nella stessa giornata. Un “martedì nerissimo”, lo ha definito l’Osservatorio Diritti.
L’entità del fenomeno è confermata dai dati dell’ultimo rapporto dell’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro (Inail) relativo al periodo gennaio–agosto 2021.
Nei primi otto mesi dell’anno le denunce di infortunio presentate all’Inail sono state complessivamente 349.449, numero che include 772 incidenti con esito mortale. Questi ultimi risultano diminuiti  del 6,2% rispetto allo stesso periodo del 2020, ma hanno fatto comunque registrare una media  di 3,2 tragedie al giorno. Troppe per un paese civile. Sono invece aumentati dell’8,5% gli infortuni senza esito mortale: 27 mila casi in più rispetto all’anno precedente.

L’incremento generale degli infortuni riguarda quasi tutti i settori lavorativi, ma in particolare l’Industria e servizi (+6,9%) e l’Agricoltura (+3,6%). Uniche eccezioni sono l’Amministrazione pubblica (-6,5%) e il settore Sanità  e Assistenza sociale. Quest’ultimo,  pur avendo superato i 27mila infortuni nei primi otto mesi del 2021, ha registrato una diminuzione del 31,9% degli incidenti rispetto ai 40mila dello stesso periodo nel 2020 (in tempo di pandemia).
Dall’analisi territoriale emerge una riduzione delle denunce soltanto nel Nord-Ovest (-3,6%), a fronte di un aumento nelle Isole (+16,5%), nel Sud (+14,9%), nel Centro (+14,5%) e nel Nord-Est (+13,6%).
Rispetto all’età di coloro che hanno perso la vita, si registrano incrementi per le classi 15-19 anni (2 casi in più), 25-29 anni (+5 casi) e 40-54 anni (+43 ). Decrescono, invece, per la fasce 20-24 (-4 morti), 30-39 anni (-12 casi) e per gli over 55 (-86), che rappresentano comunque il 45% del totale (349 morti).
Quanto alla nazionalità, il numero dei lavoratori italiani deceduti è diminuito da 700 a 663 (-67, pari al -9,6%) e quello dei colleghi comunitari (da 41 a 25, ovvero -39%), mentre sono aumentate le vittime tra i lavoratori extracomunitari, passate da 82 a 84 (2 in più, +2,4%).
Altro dato preoccupante è l’aumento delle patologie di origine professionale denunciate, che sono state 36.496 (+31,5%), e degli infortuni in itinere, ossia negli spostamenti per recarsi al lavoro, cresciuti del 20,6%.

Nonostante i ricorrenti discorsi di cordoglio delle autorità locali e nazionali per le vittime sul lavoro, ben pochi interventi sono stati attuati per far rispettare le leggi esistenti (già lacunose) e contenere il numero degli incidenti fatali. I quali, infatti, continuano  a verificarsi, come riferiscono ogni giorno notiziari e giornali.  Il quotidiano la Repubblica ha addirittura dedicato a questo triste fenomeno una pagina fissa  con le notizie sui singoli casi  e una mappa interattiva con il conteggio aggiornato degli incidenti mortali e degli infortuni accaduti nelle diverse regioni italiane. Da questa fonte risulta che al 15 novembre il numero delle vittime era salito a 910 e quello delle denunce di infortuni a 396.372. Il primato in questa classifica spetta alla Lombardia, ovvero alla regione più ricca e dinamica del Paese, con 106 morti sul lavoro e 72.234 casi di infortunio da inizio anno. Alti anche i numeri di Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Campania e Veneto.

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Ma c’è di più. Secondo diverse fonti indipendenti, nei primi otto mesi del 2021 le vittime sul lavoro sarebbero quasi 1.500, perché circa un terzo degli episodi mortali rimane sottotraccia, non censito. Dell’incompletezza dei dati è convinto anche Silvino Candeloro, della direzione nazionale di Inca Cgil, che conosce bene la realtà del lavoro sommerso in Italia e quella delle numerose categorie non incluse nel conteggio dell’Inail. (vedere il box a destra)

A chiedere con forza misure più efficaci sono i sindacati. La loro voce si è levata, ancora una volta, il 13 novembre, Giornata dei morti sul lavoro, nel corso della manifestazione organizzata a Roma dai rappresentanti dei lavoratori edili. Emblematico l’allestimento realizzato in piazza Santi Apostoli: una spianata di croci bianche piantate a terra e sormontate da elmetti gialli, in omaggio alle numerose vittime dei cantieri. Presenti i segretari nazionali di CGIL, CISL e UIL, che hanno usato parole di fuoco contro una piaga che riguarda tutto il mondo del lavoro, ma in particolare il settore dell’edilizia, in cui ha causato 15 mila vittime in dieci anni e una ogni 48 ore nei primi otto mesi di quest’anno, oltre a tantissimi infortuni e malattie professionali che colpiscono spesso lavoratori ultrasessantenni, già in   età di pensione, ma che continuano a salire sui ponteggi per necessità, esponendosi a rischi mortali.

Piazza Santi Apostoli – Manifestazione vittime sul lavoro

In quella piazza i rappresentanti sindacali hanno anche reclamato l’attuazione di misure urgenti per cambiare rotta: rafforzare i controlli con nuove assunzioni di ispettori e di medici del lavoro; coordinare i poteri e le competenze di Inps, Inail, Ispettorato nazionale del lavoro e Asl; introdurre una “patente a punti” per le aziende, che consenta sia di individuare le falle in tema di sicurezza, sia di premiare le imprese virtuose che investono in formazione e prevenzione dei rischi. Si è inoltre posto l’accento su questioni più a monte e di ampio respiro: una valida riforma delle pensioni, una lotta più incisiva all’evasione fiscale e incentivi a favore del lavoro non precario e non in “subappalto al massimo ribasso”, perché solo la creazione di lavoro stabile e con contratti regolari è in grado di restituire un futuro ai giovani.

Sul tavolo del governo, al momento, c’è la bozza di decreto messa a punto dal premier Mario Draghi e dal ministro del Lavoro Andrea Orlando, che sembrano aver accolto alcune delle richieste sindacali. Si parla infatti di ampliamento delle competenze e dell’organico dell’Ispettorato nazionale in materia di salute e sicurezza del lavoro, istituzione di un Sistema informativo coordinato (SINP), stretta sul lavoro nero, maggiore semplicità e velocità per le sanzioni a chi non è a norma, armonizzazione delle attività delle Asl.
Previste inoltre, in caso di irregolarità, pene immediate e più severe: sospensione dell’attività per le aziende che non rispettano le norme sulla sicurezza e l’arresto fino a sei mesi per gli imprenditori che non si mettono in regola. Le aziende sorprese da un’ispezione con il 10% degli addetti privi di regolare contratto presenti sul luogo di lavoro rischiano lo stop, con obbligo di continuare a pagare gli stipendi nel periodo di sospensione ed esclusione dalle gare pubbliche (ma per ora la chiusura scatta solo con il 20% dei lavoratori irregolari e solo in caso di “gravi e reiterate violazioni”).
Draghi, però, nel presentare le linee-guida del suo decreto ha posto l’accento non tanto sulle sanzioni per chi viola le regole, quanto piuttosto sull’intenzione di “aiutare” le aziende a individuare e a porre rimedio a eventuali falle nei loro sistemi di sicurezza. I controllori avrebbero quindi un ruolo di “facilitatori” e dovrebbero accompagnare le imprese verso un percorso virtuoso. Una formula mild, molto diplomatica e in qualche modo comprensibile, ma che sembra ignorare l’insofferenza (e in qualche caso la forte ostilità) di molti imprenditori verso la prospettiva di investire risorse in ambiti che non generano aumenti di fatturato. Il messaggio conciliante del premier rischia perciò di minimizzare la gravità della situazione e l’urgenza dei miglioramenti necessari per porre fine a una saga tragica che nessun governo ha mai affrontato seriamente.
In attesa della formulazione finale del decreto si può solo sperare che i nuovi provvedimenti portino un reale vantaggio a chi lavora in situazioni a rischio, in accordo con il dettato costituzionale richiamato più volte dal Presidente Mattarella: «La Costituzione nell’articolo 4 “riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Affinché questo diritto sia effettivamente garantito, uno Stato democratico deve consentire a ognuno di svolgere la propria attività lavorativa, tutelandone la salute e assicurandone lo svolgimento nella più totale sicurezza… Le leggi ci sono e vanno applicate con inflessibilità…Le tragedie a cui stiamo assistendo senza tregua sono intollerabili e devono trovare una fine, rafforzando la cultura della legalità e della prevenzione…Le vittime degli incidenti sul lavoro sono persone che escono di casa con progetti per il futuro e attività dirette ai loro cari. Il luogo di lavoro deve essere il posto da cui si torna. Sempre.»

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