Yemen, una tregua precaria che fa ben sperare

I combattimenti in Yemen sono iniziati nel 2014 quando il movimento ribelle musulmano sciita Houthi ha dato il via alle ostilità.. Da allora, a quanto riferisce l’ultimo rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, “Circa 233 mila persone sono morte nella guerra civile e più di 131 mila sono decedute per cause indirette come la mancanza di cibo, servizi sanitari e infrastrutture”.
Dopo otto anni di grandi tribolazioni qualcuno inizia a sperare.

Eraldo Rollando
31-5-2022

L’antico geografo greco Tolomeo (100 – 175 DC), descrisse lo Yemen definendolo Eudaimon Arabia (espressione tradotta in latino Arabia Felix) cioè Arabia Fortunata o Arabia Felice. Oggi si farebbe molta fatica a riconoscere in questa definizione lo stato odierno.
Una guerra dal ringhio feroce è passata a falciare vite di civili e soldati (ma fa differenza?) per 8 lunghi anni, durante i quali le milizie Houthi filo iraniane si oppongono alla Coalizione governativa guidata dall’Arabia Saudita. Il risultato è quello di avere portato il Paese alla più grave crisi umanitaria al mondo: 464 mila morti, “di cui circa 85.000 bambini si suppone morti per estrema fame e malattie”(1), 20 milioni di persone che hanno bisogno di aiuti e 4 milioni di sfollati.
Senza considerare che il Paese è arrivato alla guerra dopo 10 anni di crisi politica ed economica innescata dall’etnia Houthi.
Lo Yemen è il Paese più povero del Medio Oriente, non possiede alcuna risorsa da conquistare, ma si trova in una zona strategica per il controllo del traffico marittimo da e per il Mare Mediterraneo. Sotto i suoi occhi, ogni giorno, passano milioni di tonnellate di petrolio, milioni di tonnellate di merci. Questo sembra essere il suo guaio.
Lì Arabia Saudita, Stati Uniti e Iran tutelano i loro interessi; per non parlare della Cina che, lontana dall’immischiarsi “nell’affare”, mantiene una base militare, unica all’estero, a Gibuti di fronte allo Yemen, sull’altra sponda del Mar Rosso.
Abbiamo avuto occasione di parlarne in un precedente articolo, quando la parola tregua non era ancora all’orizzonte.

Il 1 aprile di quest’anno l’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen Hans Grundberg ha rilasciato alla stampa il seguente comunicato “Desidero annunciare che le parti in conflitto hanno risposto positivamente alla proposta delle Nazioni Unite di una tregua di due mesi che entrerà in vigore domani 2 aprile alle 19:00. Le parti hanno accettato di fermare tutte le operazioni militari offensive aeree, terrestri e marittime all’interno dello Yemen e attraverso i suoi confini; hanno inoltre concordato che le navi per il rifornimento di carburante possano entrare nei porti di Hudaydah e che i voli commerciali possano operare in entrata e in uscita dall’aeroporto di Sana’a verso destinazioni prestabilite nella regione. La tregua può essere rinnovata oltre il periodo di due mesi con il consenso delle parti … “

In seguito a questa tregua qualche spiraglio di speranza comincia a filtrare.
Un buon inizio si è avuto il 19/4/2022 con la sigla di un accordo tra i funzionari Unicef delle Nazioni Unite e i leader della milizia ribelle Houthi.
Il portavoce dell’Onu, Stephane Dujarric, ha confermato che i rappresentanti del gruppo armato si sono impegnati non solo a porre fine al reclutamento forzato di minori nelle loro fila, ma anche a identificare quelli già presenti nelle truppe e a rilasciarli in accordo con il piano proposto dall’Agenzia Onu.
L’Unicef ha calcolato che sono circa 3500 i bambini arruolati dal 2014 per combattere contro il governo del presidente Mansour Hadi.
Un mese dopo, a conferma della tenuta della tregua, il primo volo commerciale è decollato dall’aeroporto di Sana’a, la capitale yemenita occupata dai ribelli Houthi, dopo essere rimasto chiuso al traffico dal 2016. L’aereo è atterrato alle otto, ora italiana, del 16 maggio nella capitale giordana Amman. L’aereo yemenita trasportava 126 passeggeri, inclusi pazienti che avevano bisogno di cure all’estero e i loro parenti.
Sono le parole dell’inviato speciale delle Nazioni Unite Hans Grundberg a ricordare come sia importante giungere al più presto a una pace duratura “Questa tregua è un primo passo, atteso da tempo. Tutte le donne, gli uomini e i bambini yemeniti che hanno sofferto immensamente in oltre sette anni di guerra non si aspettano altro che la fine di questa guerra. Le parti non possono fare di meno.”

È noto che a fronteggiarsi sono le due potenze regionali, Arabia Saudita (sunnita) e Iran (sciita), dove gli antichi rancori religiosi non contribuiscono a frenare gli eccessi bellicosi. Eppure sembra che tutti i contendenti siano stremati dal conflitto. Lo dimostrano le parole del capo del Consiglio politico supremo degli Houthi. il quale domenica 22 maggio ha dichiarato che la sua organizzazione non è contraria all’estensione della tregua mediata dall’Onu, nonostante la descriva come “non abbastanza incoraggiante”. Chiaramente si tratta di un messaggio di speranza che Mahdi al Mashat ha pronunciato in un discorso trasmesso da Al Masirah TV, il principale canale televisivo gestito dal movimento yemenita. E anche per questo le sue parole acquisiscono maggiore rilievo.

Le armi, dunque, sembrano tacere. La speranza è che presto “l’ascia di guerra” venga sotterrata e che i polmoni degli yemeniti riprendano a respirare liberamente aria “pulita”.

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Note:
(1) Dichiarazioni di Tamer Kirolos, direttore di Save the Children in Yemen.

Nella foro d’apertura il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres assieme al capo delegazione Houthi Abdul-Salamed a destra e il ministro degli esteri yemenita Khaled al-Yaman a sinistra

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