La Nigeria è uno dei maggiori paesi africani esportatori di greggio. Un paese ricco di petrolio, dove oltre 70 milioni di persone vivono attualmente in estrema povertà: lo è il 33 per cento degli oltre 200 milioni dei suoi abitanti. Lo si apprende dagli ultimi dati pubblicati dal World Poverty Clock (Wpc). Il monitoraggio della povertà in tempo reale mostra che il 53 per cento dei nigeriani residenti nelle zone rurali vive sotto la soglia di povertà stimata dalle Nazioni Unite
Giulia Uberti
14-06-2022
Molti emigrano per motivi ambientali, nel Delta del Niger, regione ricchissima di petrolio, ma la cui estrazione ha conseguenze devastanti per l’ecosistema e per le popolazioni che vivono principalmente di agricoltura e pesca. I 70 mila chilometri quadrati del Delta sono infatti tra le aree più inquinate al mondo, in cui la speranza di vita è più bassa di tutta la Nigeria.
Come se ciò non bastasse, in questo contesto così impoverito si innesta la pratica delle espropriazioni forzate da parte delle compagnie petrolifere che operano in accordo con lo Stato; una pratica che funziona da moltiplicatore della povertà e dell’emarginazione sociale. In un paese il cui il 90% della ricchezza dipende dall’oro nero, il prezzo da pagare per questa rendita è la vita e il futuro delle persone che vivono soprattutto nel Delta del fiume.
Anche l’Italia ha la sua parte di responsabilità, poiché Eni è ben presente nell’area ed è stata anche recentemente portata a processo per disastro ambientale da una Ong nigeriana. La Nigeria non è solo un paese povero e socialmente disuguale, ma anche un paese da cui si parte per sfuggire al terrorismo, a un ambiente devastato, a una situazione di vita insostenibile o all’assenza di prospettive.

Lontano dalle ombre del Delta, troviamo anche le luci: sono quelle di un paese in forte crescita e con un fermento culturale e un dinamismo senza eguali nel continente africano. Un fermento visibile soprattutto nella capitale economica Lagos, metropoli da più di 20 milioni di abitanti, in cui il mix sociale, etnico e religioso genera al tempo stesso molti problemi ma anche molte opportunità in ambiti creativi come la moda, la musica, il cinema.
Esplorazione del petrolio
L’attività estrattiva (Clicca per approfondire) ha inizio in Nigeria nel 1937, con l’ottenimento da parte della Shell D’Arcy Company della concessione dei diritti di esplorazione e produzione esclusiva su tutto il territorio nigeriano.
L’estrazione si concentra nella zona del Delta del Niger, ubicata nel sud-est del Paese; l’80% della produzione petrolifera proviene da questa zona. Shell è ancora oggi il principale attore nell’estrazione di petrolio nell’area. Nel 1946 la Shell si unì alla British Petroleum dando vita alla Shell-BP, che aveva un ruolo predominante in Nigeria anche grazie alla legislazione vigente dal 1914 che prevedeva l’esclusività della concessione per l’esplorazione e l’estrazione a società e cittadini britannici.
A quei tempi non esisteva una regolazione riguardo all’estrazione del petrolio e i coloni inglesi si muovevano con estrema autonomia nel Paese. Nel 1946 una ulteriore ordinanza sui minerali conferì alla Corona britannica la proprietà e il controllo di tutti i minerali e gli oli minerali presenti in Nigeria. Inoltre, l’assegnatario di un affitto o di una licenza per l’esplorazione e l’estrazione aveva l’obbligo di versare un indennizzo a chi legalmente deteneva la proprietà sui territori (la Corona inglese) per compensarlo della turbativa dei suoi diritti di superficie. I popoli indigeni abitanti le zone più ricche di petrolio e altre risorse, da questo momento in poi, verranno spogliati di ogni diritto sulle “loro” terre; essi non saranno più pienamente padroni del territorio che hanno abitato da sempre e solo in minima parte gioiranno delle entrate derivanti dall’estrazione del petrolio.
Da questo momento ha inizio in Nigeria il malcontento che si trasformerà in seguito in un vero e proprio conflitto tra gruppi armati e governo centrale nel Delta del Niger, dato che all’autorità coloniale succederà quella del governo nigeriano.
L’Ordinanza del 1914 venne abrogata nel 1969, epoca post-indipendenza, e nello stesso anno (1969) una nuova legge stabiliva che la proprietà e il controllo di tutto il petrolio erano dello Stato nigeriano: tutte le attività erano sottomesse all’autorità legislativa nigeriana, che si sostituiva a quella inglese.
Nel 1971 si giunse alla creazione della compagnia petrolifera nazionale Nigerian National Oil Corporation (NNOC) in seguito all’applicazione delle risoluzioni dell’OPEC, (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) di cui la Nigeria era entrata a far parte. Tali risoluzioni prevedevano la necessità di un ruolo più attivo degli Stati membri nel settore, anche in seguito al boom petrolifero verificatosi in quegli anni. Accanto al NNOC operava il Ministero delle Risorse Petrolifere (MPR), il quale aveva la funzione di regolare le operazioni petrolifere condotte dalle compagnie. Nel 1977 queste due entità vennero unite nella Nigerian National Corporation (NNPC) che nel 1979 acquisì le quote di maggioranza direttamente delle operazioni petrolifere e non del pacchetto azionario delle compagnie interessate. Tali acquisizioni diedero origine a speciali accordi tra governo e società petrolifere chiamate Traditional Joint Venture (TJV), tuttora utilizzate nel settore.
Il risultato fu un’unione tra l’ente che si occupa di creare e gestire gli accordi con le società petrolifere (NNOC) e quello impegnato nella regolamentazione e nel controllo delle operazioni, nonché nella gestione del denaro proveniente da queste (MPR).
Si verificò una drastica diminuzione nel controllo delle attività petrolifere e soprattutto una mancanza di trasparenza nella gestione degli introiti derivanti da queste (costi iniziali, licenze, royalties e tasse sui profitti pagate dalle compagnie secondo gli accordi stabiliti con la NNPC).
Quadro normativo per l’estrazione
Tra gli anni Sessanta e Novanta mancavano un quadro normativo e un sistema di controllo adeguato che facessero aderire le operazioni delle joint ventures agli standard internazionali sulla corretta conduzione dell’attività petrolifera. Questa mancanza ha causato molti danni a livello ambientale legati alle attività di esplorazione e produzione condotte, nonché perdite per il settore agricolo e compromissione della stabilità economica di numerose comunità nel Delta del Niger.
Un ulteriore problema è stato quello dei massicci esodi delle popolazioni del Delta del Niger a causa dell’espropriazione dei terreni destinati all’attività petrolifera, avvenuta senza un adeguato indennizzo.
Incidenti legati a versamenti, falle e rotture sono quasi quotidiani nel Delta del Niger; nel 2015 si contarono 656 incidenti di questo tipo solo negli impianti di proprietà di Agip Nigeria. Le compagnie petrolifere si definiscono spesso vittime di sabotaggi da parte dei gruppi armati presenti nell’area del Delta. Tuttavia, gli incidenti sono spesso causati da cedimenti tecnici, scarsa manutenzione, impianti vecchi e difettosi.
Dunque, oltre alla responsabilità statale per la regolazione delle attività petrolifere con il fine di renderle conformi agli standard ambientali, l’interrogativo è se esista una responsabilità delle compagnie petrolifere per le attività svolte sul territorio nigeriano. Il tema delle responsabilità delle compagnie multinazionali è una questione aperta nel diritto internazionale. Un caso emblematico è la recente sentenza della Court of Appeal nell’Aia del 2021 che ha ritenuto una filiale della multinazionale britannico-olandese Shell responsabile delle fuoriuscite di petrolio avvenute nel Delta del Niger nel 2006 e 2007. La compagnia ha dovuto risarcire un piccolo gruppo di residenti nella regione e ha dovuto iniziare a bonificare le acque contaminate entro poche settimane. Anche in questo caso la compagnia Shell ha dichiarato che le fuoriuscite di petrolio erano state causate da sabotaggi.
L’azione delle bande criminali
Lo snodo principale dell’industria petrolifera è lo Stato del Rivers, luogo dei principali scontri tra gruppi armati locali e multinazionali del greggio: anni di sequestri, di scontri armati, di milizie criminali travestite da gruppi politici. Dietro questa instabilità ci sono i cosiddetti “miliziani”, gruppi criminali che controllano il territorio e parte dell’economia locale. Le loro vittime sono da un lato le compagnie petrolifere, dall’altro le popolazioni locali: queste ultime costrette a vivere in ambiente altamente inquinato. Un report di Amnesty International del 2012 riferisce: “…come in ogni angolo povero del pianeta, i gruppi di criminalità organizzata hanno gioco facile a comprare l’appoggio della popolazione locale”.
Secondo il report dell’agenzia governativa Nigerian Extractive Industries Transparency Initiative (Neiti) del novembre 2019, tra il 2009 e il 2018 i furti di petrolio, greggio e raffinato, sono costati alle casse dello Stato nigeriano 41,9 miliardi dollari. Un sistema definito “endemico” e in continua crescita. Non ci sono vere e proprie indagini per trovare i responsabili dei furti, non c’è nemmeno interesse politico a trovare i colpevoli.
Il groviglio delle responsabilità tra miliziani, minoranze della comunità che fanno affari con i criminali e aziende locali che si occupano della sicurezza è difficile da districare.
A livello governativo, il capro espiatorio sono sempre “le popolazioni locali”. Per contenere il problema il governo ha concesso l’amnistia agli ex miliziani, in cambio del loro disarmo. Questo programma è l’unico strumento in vigore, ma dopo 7 anni di amnistia per coinvolgere le popolazioni locali lo Stato non è stato in grado di smantellare davvero le reti dei miliziani che continuano ad esistere e che nel 2019 hanno ucciso almeno 1031persone. Il programma prevede che circa 30 mila ex guerriglieri, in cambio della rinuncia alle armi, possano ricevere uno stipendio di 420 dollari al mese e trovare un lavoro. Non sempre questo accade e molti miliziani si riciclano nel settore della “sicurezza”. Il governo si ritrova così periodicamente minacciato dai leader delle ex milizie di abbandonare il programma e tornare alla guerriglia.
A tutti i livelli la corruzione in Nigeria conosce un livello altissimo. Vedere a tale proposito il processo ENI – SHELL di Milena Gabanelli. (Clicca per approfondire)
Quali le prospettive future per il Paese?
In previsione delle elezioni presidenziali di febbraio 2023 la Nigeria prepara la successione a Buhari. La corsa alla presidenza si preannuncia agguerrita, anche all’interno dei principali partiti che hanno tempo fino al 3 giugno 2022 per presentare i propri candidati. Finora si sono fatti avanti in 35, dei quali soltanto 6 sono donne.
Nel frattempo la Nigeria adotta tre nuove leggi per difendersi dal riciclaggio di denaro e dagli atti di terrorismo e di finanziamento di tali attività, e per recuperare e gestire gli utili derivanti da pratiche illecite. Le leggi sulla prevenzione e sul divieto di riciclaggio di denaro, sul terrorismo, e la legge sui proventi delle attività criminali: sono tre nuovi quadri giuridici e normativi che il presidente nigeriano uscente Muhammadu Buhari ha ratificato il 12 maggio scorso, annunciando la definitiva abrogazione delle leggi sull’antiriciclaggio e sul terrorismo del 2011.
Molte sono le attese di segnali di cambiamento !!!
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