L’Africa a 60 anni dall’indipendenza

Giulia Uberti
04-01-2021
Anni di ispirazione e maturazione
Mi sembra importante che per parlare della decolonizzazione e dell’Indipendenza del continente africano si debba prima capire quale è stato il criterio “ispiratore” che ha portato alla colonizzazione di fine ottocento e quali gli Ideologi che aiutarono la maturazione per arrivare all’indipendenza. I Paesi occidentali alle prese con lo sviluppo industriale e al prestigio militare per una supremazia, in base a “teorie razziste” maturarono un concetto, di “ missione civilizzatrice” che fece nascere un’idea di progresso fondata su una “civiltà da esportare”. Una civiltà che legittima l’autorità e la identifica con l’esercito.
Il colonialismo ha lasciato, nei Paesi dove si è imposto, l’idea di stato/nazione laddove era presente il concetto di tribù, basato sul fondatore mitico, sulla legittimità attraverso il sangue e non attraverso il “contratto sociale”.
La decolonizzazione NON ha smantellato il colonialismo soprattutto perché ha lasciato alcuni pilastri economici come le monoculture e lo sfruttamento dei prodotti minerari (che continua ancora oggi!) i cui prezzi sono controllati dal mondo sviluppato, processo che ha indotto un’ingiustizia economica internazionale.
Nel processo di decolonizzazione possiamo individuare due fasi:
la prima negli anni 50/60, del secondo dopoguerra attuata attraverso concessioni di autogoverno. Questa fase ha in realtà prodotto il “neocolonialismo” cioè il controllo indiretto dell’economia da parte delle potenze straniere; le forme di autogoverno legate alle elite cittadine hanno portato a repubbliche presidenziali attuate attraverso colpi di stato militari. L’Africa si è cosi indebolita, diventando la sede della guerra fredda occidentale, ma attuando anche lo sviluppo del socialismo africano, della negritudine e dell’umanesimo.
La seconda fase è quella della lotta armata (anni 70/75) che si è sviluppata attraverso guerre di liberazione di ispirazione marxista-leninista – è il caso delle colonie portoghesi – che hanno in parte evitato il neocolonialismo ma hanno indotto guerre intestine successive, ideologie rigide, convertite in ideologie liberali perché il Fondo Monetario poneva loro richieste di processi democratici: presenza di parlamentari e un pluralismo partitico.
Alla fine si è riproposto il modello occidentale: nasce e matura l’idea, da parte degli africani, di acquisire l’indipendenza e l’autodeterminazione.
Ideologo principale delle indipendenze africane e asiatiche fu Franz Fanon, martinicano che fu allievo di Aimé Césaire, uno dei Padri della “ Negritudine” A suo dire “ è la colonizzazione profonda quella che tocca lo stigma della tratta, il tabù più oscuro della pelle e della razza”. Il suo scritto nel 1953: “Pelle nera, maschere bianche” sarà il marchio ideologico di tutta una generazione: quella delle indipendenze africane e asiatiche.
Furono molte le personalità che incontrarono e ascoltarono Fanon, fra i quali per l’Africa: Cheik Anta Diop (intellettuale del Senegal), Nkrumah (Costa d’Oro), Nyerere (Tanganika), Senghor (Senegal), Sékou Touré (Guinea); Amilcar Cabral (Guinea-Capo Verde), dall’altra parte del mondo: Lin Biao (Cina), Mao (Cina), Ho Chi Minh (Viet Nam), Fidel Castro(Cuba), Che Guevara (Argentina).
In quegli anni era inoltre ancora molto viva l’influenza di Gandhi, ucciso nel 1948.

Primi Paesi a dichiarare l’Indipendenza: “inizio di una storia Nuova”.
Il Marocco acquisì una un’indipendenza limitata nel 1956, situazione che richiese ulteriori negoziati per la sua piena indipendenza. Fu l’Accordo franco-marocchino siglato a Parigi il 2 marzo 1956 a concludere il negoziato, e il 7 aprile dello stesso anno la Francia rinunciò ufficialmente al protettorato sul Marocco.

La Tunisia divenne indipendente nel 1956, alla fine dell’occupazione francese (1881-1956). Il suo primo presidente della Repubblica fu Habib Bourguiba.

A questi due Paesi seguirono il Ghana nel 1957 e la Guinea nel 1958.
Nkrumah fu una prima voce autorevole; le sue esperienze negli Stati Uniti (1935) gli permisero di conoscere il razzismo che in quegli anni vigeva nella società e nella politica americana, una condizione molto simile a quella dei popoli africani sotto il giogo coloniale dove lo sfruttamento e il razzismo imperversavano in maniera ancor più cruenta. Durante la sua permanenza negli Stati Uniti iniziò a interessarsi alle idee panafricane. Utopia o Idealismo? Per Nkrumah era semplicemente una nuova via alternativa, elaborata saggiamente per far scattare la scintilla del processo di decolonizzazione in Africa.
Nel 1945 parti per Londra e la sua visone si affinò ulteriormente grazie all’influssi di George Padmore. Con quest’ultimo organizzò, nello stesso anno, il Congresso panafricano di Manchester; Congresso che segnò la demarcazione fra due epoche, da questi incontri emerse infatti come l’epoca colonialista stesse volgendo al termine: era il tempo dell’autodeterminazione dei popoli.
Lo stesso Nkrumah scrivendo del Congresso nella sua Autobiografia diceva: “ Il Congresso consolidò l’idea di nazionalismo africano, grazie a una forte presa di coscienza politica”. Da quel momento lo slogan del movimento Panafricanista era sempre più “L’Africa agli Africani”.

Il 6 marzo 1957 il Paese Costa d’Oro divenne indipendente col nome di Ghana. L’indipendenza sarà ufficializzata il 1° luglio 1960, quando il Ghana divenne una Repubblica.
Ma Nkrumah era già proiettato verso l’idea di una “nuova Africa”, ovvero un’Africa unita, al fine di dimostrare al mondo intero che “l’africano è capace di gestire i propri affari”. In pratica, Nkrumah, già negli anni ’60 del XX secolo, indicava la via di un’Africa davvero unita cioè egli sognava gli “Stati Uniti dell’Africa”.
Per Nkrumah: “Solo sviluppando un’Africa unita si sarebbe rotto il meccanismo del “divide et impera” (slogan politico degli antichi romani) . “Ci sono alcuni che sostengono che l’Africa non può unirsi perché manchiamo dei tre fattori indispensabili per l’unità, cioè una razza, una cultura e una lingua comune. È vero che siamo stati divisi per secoli. Le frontiere territoriali che ci dividono furono fissate molto tempo fa dalle potenze coloniali, a volte del tutto arbitrariamente. Alcuni di noi sono musulmani, alcuni cristiani; molti credono negli dei tribali tradizionali. Alcuni di noi parlano il francese, altri l’inglese, altri il portoghese, per non parlare dei milioni che parlano solo una delle centinaia delle diverse lingue africane. Abbiamo acquisito differenze culturali che influenzano la nostra visione e che condizionano il nostro sviluppo politico. Tutto ciò è inevitabile, dato il nostro contesto storico. Eppure, malgrado tutto ciò, sono convinto che le forze che conducono all’unità superano di gran lunga quelle che ci dividono. Nell’incontrare fratelli africani da ogni parte del continente, sono sempre impressionato da quanto abbiamo in comune. Non è soltanto il nostro passato coloniale, né il fatto che abbiamo degli scopi comuni. È qualcosa di più profondo. Posso meglio descriverlo come un senso di uni-cità in quello che ci fa africani.“ 

Nel 1958 la Guinea ricevette De Gaule in visita al Paese, e il discorso di Sekou Turé colse alla sprovvista il leader francese dichiarando: “La Guinea preferisce la povertà nella libertà, all’opulenza nella schiavitù”. E la Guinea divenne indipendente votando “NO” al referendum sulla comunità franco-africana proposto dalla Francia.

Nel 1960, in Congo, Patrice Lumumba era fra i migliori rappresentanti della lotta per l’indipendenza: era un radicale ma aveva optato per la via del dialogo superando: il “violenza si, o no” che si discuteva nelle conferenze panafricane in quegli anni. Egli ebbe a dire: ”Nella lotta che portiamo avanti pacificamente oggi per la conquista della nostra indipendenza, noi non intendiamo cacciare gli europei da questo continente né accaparrarci dei loro beni… la nostra determinazione è estirpare il colonialismo e l’imperialismo dall’Africa”. In quegli anni purtroppo nessuno credeva nella “Terza via” di Lumumba. Per questo i belgi  – con l’aiuto della CIA –  faranno di tutto per cacciarlo e ucciderlo.

L’Algeria conquistò l’indipendenza, che fu proclamata il 5 luglio 1962.
La seconda guerra mondiale portò ad un’ondata di agitazioni per l’indipendenza nei protettorati francesi del Marocco e della Tunisia, nonché dell’Algeria. La Francia rispose con repressioni, che assunsero carattere particolarmente sanguinoso nel Marocco e in Algeria. Ma il movimento nazionalista continuò nelle sue agitazioni, che scoppiarono infine nella guerra d’Algeria (1954-62), in cui la IV repubblica trovò la sua tomba. Dopo sette anni e mezzo di uno scontro senza esclusione di colpi, da una parte come dall’altra (generalizzazione della tortura, attentati, terrorismo, rappresaglie, napalm) l’Algeria era finalmente indipendente.
L’entusiasmo vissuto in Africa, che acquisiva “l’indipendenza”, era ignorato dai “bianchi”. Il paternalismo era il loro sentimento guardando al continente nero, mentre gli esperti si chiedevano come si sarebbero schierati i nuovi Paesi nel contesto bipolare di quegli anni.
Inizia così, nel 1960, una guerra “di influenza” che si scarica sul continente: gli USA affidarono alle ex metropoli Londra e Parigi il controllo sulle loro zone di influenza. Nel contempo Mosca e Pechino utilizzarono i partiti comunisti d’Occidente per formare i nuovi leader africani e portarli dalla loro parte.

Il 1960 è chiamato l’ Anno dell’Africa, arriva come il risultato di un lungo processo, nel tumulto della Seconda Guerra Mondiale, che portò ad una serie di eventi con l’indipendenza di ben 17 Paesi:
Camerun, Togo, Senegal, Mali, Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Benin, Niger, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ciad, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Gabon, Nigeria, Mauritania; seguiti poi da molti altri nel corso degli anni.

Nel 1963 è stata fondata l’Organizzazione per l’Unità Africana (OUA) con l’intento di rafforzare l’unità e la cooperazione tra i paesi africani e di eliminare ogni residua traccia di colonialismo nel continente. L’OUA è un’organizzazione internazionale, che già alla sua nascita ha visto l’adesione di 31 Paesi fondatori.

Quale il significato questi 60 anni?
In questi anni, i cambiamenti e gli obiettivi raggiunti sono stati numerosi, ma molta strada rimane ancora da percorrere.
L’idea di un’entità federale e sovranazionale a sostegno di un’Africa più forte e competitiva è stata influenzata ampiamente dalle aspirazioni per una rifondazione di obiettivi e ideali di panafricanismo, la più antica e preminente forma di regionalismo africano. Nuova attenzione è stata dedicata a ciò che il panafricanismo dovesse significare per i popoli africani: un movimento inteso a definire la rinascita delle ambizioni e delle agende continentali. L’esperienza dell’Unione Europea ha rappresentato, in questo contesto, un modello di riferimento.
Ancora oggi l’Africa continua a rappresentare grande interesse internazionale, un terreno dove potenti imprese, grandi e piccole, oltre a potenziali potenze che si propongono e si impongono. Gli equilibri della Guerra fredda, successivi alle indipendenze, assicuravano una certa prevedibilità rispetto alle alleanze politiche dei singoli stati africani, mentre attualmente queste dinamiche appaiono meno prevedibili. Guardando a Francia e Regno Unito, i legami coloniali si sono trasformati in una forma di dipendenza post-coloniale: le ex colonie esercitano formalmente la sovranità, ma restano co-dipendenti delle antiche potenze coloniali per investimenti e aiuti. Un elemento nuovo di interpretazione del ruolo degli africani sulla scena internazionale è che il continente si sta indirizzando in maniera crescente verso le alternative delle grandi potenze. Una di queste è la Cina. Tra le élite africane la Cina è vista come una alternativa capace di potenziarla negli affari globali. Nel 2000, l’istituzione del Forum per la cooperazione sino-africana “Forum on China-Africa Cooperation (FOCAC) ha aperto la strada al lancio di iniziative simili nel continente da parte di altri attori. La generosità finanziaria della Cina nei confronti del continente non è certo puramente altruistica, ma nel breve periodo allenta le pressioni socio-economiche e politiche sulle élite al potere in Africa.
Malgrado il cammino degli ultimi anni l’Africa rimane un terreno di battaglia. I conflitti si protraggono. I nobili ideali legati al rispetto dei diritti umani e al quadro normativo che reggono l’architettura dell’Unione Africana (subentrata nel 2002 all’OUA) sono spesso negati. Mentre il continente si appresta ad entrare nel suo settimo decennio dall’indipendenza, è tempo di riflettere sul suo ruolo e sulle alternative scelte, sul cammino che l’attende verso una nuova, seconda libertà. Non ci sono voci di intellettuali africani ad esprimersi in merito.

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