L’India dai mille volti

 

Il Parlamento indiano in seduta

Giulia Uberti
04.11.2020

L’India ha ottenuto l’indipendenza dal dominio britannico il 15 agosto del 1947 con l’Indian Independence Act. L’Unione indiana è una Repubblica federale, socialista, laica e democratica.
L’attuale popolazione indiana è di 1,373,751,734 (dati del giugno del 2019)

Da quando l’attuale primo ministro indiano Narendra Modi è salito al potere sta modificando l’orientamento del governo toccando punti fondamentali che da sempre hanno fatto conoscere l’India come continente laico e democratico, dai mille volti, con numerose calligrafie e idiomi, grande varietà di religioni e culti; solidarietà e accoglienza, convivenza sociale, unità nella diversità.
La quantità, varietà e diversità nei sistemi di credenza religiosa dell’India odierna è il risultato sia dell’esistenza di molte religioni indigene che dell’assimilazione ed integrazione sociale di fedi religiose portate dall’esterno da viaggiatori, immigrati e commercianti, ma anche da invasori e conquistatori, com’è il caso dei musulmani Moghul. Il mazdeismo (o zoroastrismo) e l’ebraismo hanno anch’essi un’antica storia nel Paese, ognuno con diverse migliaia di aderenti.
In India si può parlare anche di una presenza atea o «Irreligiosità»
Anche se seguita da una piccola parte della popolazione indiana, l’irreligiosità (comprendente l’ateismo l’agnosticismo e l’umanesimo secolare) ha anch’essa una forte e duratura tradizione in India; l’ateismo è stato fin dai tempi più antichi propugnato nella filosofia indiana all’interno della scuola Sāṃkhya. Ai seguaci dell’irreligiosità piace generalmente definirsi come «atei indù».

Le religioni in India

Tutti i governi indiani sono stati ostili alle organizzazioni internazionali e al lavoro dei media che indagano sulla reale situazione come l’estrema povertà, i suicidi tra i contadini, gli stupri, le violazioni dei diritti umani e delle libertà civili, ma soprattutto della libertà religiosa. Una maggiore ostilità insorge con l’attuale governo guidato dal partito nazionalista Bharatiya Janata Party (Bjp) e con il premier Modi.
Dal 2014 ha cancellato la licenza a 15.000 Ong straniere attive in India con programmi di cooperazione internazionale e aiuto allo sviluppo in favore di poveri, bambini di strada, emarginati e malati. Le Associazioni lamentano restrizioni continue nei confronti dei loro programmi, continuo boicottaggio delle autorità, sequestri di uffici, congelamento dei conti bancari e restrizione degli spostamenti. L’attuale governo non considera più i gruppi di volontari attivi come una risorsa per lo sviluppo ma piuttosto come una minaccia che mette in luce l’abuso di potere, la corruzione e le violazioni dei diritti umani in India.
Per John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council, “L’India non concede il visto agli inviati speciali delle Nazioni Unite che indagano sulla situazione dei diritti, ed è molto ostile verso alcuni di essi, in particolare, quando i governi occidentali sollevano questioni religiose sul trattamento delle minoranze cristiane, musulmane e dalit”.

Anche le questioni legate alla tutela ambientale sembrano un tabù. La stessa Greenpeace India, che di continuo lancia allarmi sul degrado ambientale e l’inquinamento atmosferico di molte città indiane, nel 2019 è stata costretta a chiudere alcune sedi regionali e a ridurre il personale a Bangalore, dopo che l’ufficio è stato sottoposto a perquisizione e i suoi conti sono stati bloccati. Una delle modalità più comuni per limitare il lavoro delle Ong straniere in India è accusarle di evadere i controlli fiscali sui finanziamenti provenienti dall’estero. Per regolamentare la materia il Parlamento indiano, oltre al Foreign Contribution Regulation Act del 2011, ha varato il 21 settembre scorso un emendamento alla legge sui contributi provenienti dall’estero che mette sotto controllo elettronico ogni transazione economica. D’ora in poi ogni Ong che cerca finanziamenti dall’estero dovrà possedere una “Aadhaar card”, una carta elettronica con dati personali e bancari. La decisione per il Bjp al potere è stata motivata sia da ragioni di “pubblica sicurezza”, visto che fonti governative confermano che nel nordest dell’India siano cresciute le insurrezioni proprio in corrispondenza con le donazioni di denaro dall’estero, sia da motivi religiosi alla luce delle molte “conversioni forzate” avvenute negli ultimi anni parallelamente alle attività solidali di numerose associazioni, soprattutto cattoliche. Ponendo il tal modo sotto controllo gli aiuti allo sviluppo, viene messa a rischio la vita di milioni di beneficiari che spesso ricevono servizi fondamentali alla sopravvivenza. Nel 2019 il parlamento ha approvato la nuova riforma sulla cittadinanza per regolarizzare i migranti irregolari, con la legge Citizenship Amendment Bill (CAB) voluta dal premier Modi e dal suo partito. Questa legge prende in esame i migranti provenienti da tre paesi vicini all’India, cioè Pakistan, Bangladesh e Afghanistan. Per questa legge Modi è stato accusato di fare politiche discriminatorie contro la minoranza musulmana. La nuova legge sulla cittadinanza, infatti, agevolerebbe l’ottenimento della nazionalità indiana a un gran numero di immigrati provenienti dal vicino Bangladesh, dal Pakistan e dall’Afghanistan, purché non musulmani, e dunque riguarderebbe solo le comunità hindu, sikh, jainiste, cristiane, buddhiste e parsi.

Gli oppositori del governo sostengono che la proposta di legge violi i principi garantiti dalla Costituzione indiana, che vieta la discriminazione sulla base della religione. Se l’obiettivo fosse davvero quello di proteggere le minoranze discriminate e perseguitate, dicono gli oppositori, allora la proposta avrebbe dovuto includere anche gli ahmadi provenienti dal Pakistan e i rohingya provenienti dal Myanmar. Chi si oppone alla legge accusa il governo Modi di avere avviato una campagna molto dura per delegittimare i cittadini musulmani dell’India.
Il provvedimento rappresenta una rottura fondamentale con il principio di laicità dello Stato indiano, sancito dalla Costituzione.
Anche Amnesty International India ha dichiarato che gli emendamenti alla Legge sulla cittadinanza entrati in vigore l’11 dicembre 2019 sono incostituzionali in quanto legittimano la discriminazione su base religiosa e ne ha chiesto l’immediato annullamento. La nuova legislazione, “includente” secondo gli obiettivi dichiarati, è in realtà escludente. Consente ai migranti irregolari entrati in India entro il 31 dicembre 2014 di ottenere la cittadinanza, ma limita questa opportunità a coloro che professano la religione indù, ai sikh, ai buddisti, ai giainisti, ai parsi e ai cristiani provenienti da Afghanistan, Bangladesh e Pakistan. Per motivi meramente religiosi, le nuove norme escludono altre comunità religiose – ad esempio i tamil fuggiti dallo Sri Lanka, il più numeroso gruppo di rifugiati presente in India, ormai da tre decenni – e le minoranze musulmane vittime di violazioni dei diritti umani nei loro paesi: gli hazara del Pakistan e dell’Afghanistan, i bihari del Bangladesh, gli ahmadi del Pakistan e quella che le Nazioni Unite hanno definito la “minoranza più perseguitata al mondo”: i rohingya di Myanmar.

Mentre il premier Modi ha salutato la legge come “un giorno storico per l’India e per i valori di solidarietà e fratellanza della nostra nazione”, le opposizioni e alcune organizzazioni a difesa dei diritti umani stimano che il provvedimento rientri nel programma nazionalista di Modi che mira a marginalizzare i 200 milioni di indiani musulmani. Derek O’Brien, deputato dell’opposizione, ha definito la legge “un’inquietante analogia” con le leggi naziste varate negli anni Trenta contro gli ebrei in Germania, mentre il governo nazionalista indù del Partito del Popolo Indiano sostiene che la legge ha l’obiettivo di accogliere tutti coloro che sono fuggiti dalle persecuzioni religiose.
In una intervista a Le Monde Amarinder Singh, capo del Punjab, uno degli Stati che hanno annunciato che non applicheranno la norma, dichiara che: «Qualsiasi legislazione che cerca di discriminare le persone sulla base di criteri religiosi è illegale, contraria all’etica e incostituzionale» e ancora «La forza dell’India risiede nella propria diversità e la legge viola il principio fondamentale della Costituzione. Di conseguenza, il mio governo non permetterà che il progetto sia messo in opera nel Punjab».

Con l’entrata in vigore del nuovo provvedimento, forti scontri sono avvenuti in India, i fatti più gravi si sono verificati nello Stato di Assam, nel Nord-Est dell’India, ma le proteste si sono diffuse in diversi campus del Paese e nella capitale Delhi, dove autobus e automobili sono stati dati alle fiamme.

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