New York verso il diritto di voto agli stranieri con regolare contratto di lavoro

Se il sindaco non metterà il veto al provvedimento, circa 800 mila persone non statunitensi potranno partecipare alle elezioni locali nel 2023

Adriana F.  27-12-2021

La Grande Mela procede sulla strada delle aperture democratiche, in contrasto con le posizioni conservatrici e discriminatorie presenti in altri Stati dello stesso Paese. Il 9 dicembre scorso, infatti, con 33 voti a favore, 14 contrari e due astenuti, il Consiglio cittadino ha approvato una risoluzione che amplia la platea dei soggetti ammessi a votare alle elezioni comunali. Una vittoria preannunciata dal tono del dibattito svoltosi in aula, dove molti consiglieri di varia provenienza hanno ricordato con enfasi le rispettive origini e il cammino percorso per diventare cittadini a pieno titolo. Se sarà approvata in via definitiva, la nuova legge consentirà agli stranieri con un regolare permesso di lavoro e residenti in città da almeno un mese di votare per il sindaco e per altre posizioni chiave dell’amministrazione metropolitana. I nuovi elettori sarebbero oltre 800 mila, tra cui circa 130 mila provenienti dalla Repubblica Dominicana e 117.500 dalla Cina. Per l’entrata in vigore della norma manca solo la firma del sindaco uscente De Blasio, che ha annunciato che non porrà il veto, pur avanzando qualche dubbio sulla legalità del provvedimento. Tema su cui, come si legge sul New York Times, lo staff legale del Consiglio si è espresso in modo favorevole, sostenendo che nessuna legge federale o statale vieta di espandere il diritto di voto alle elezioni locali, aggiungendo però che il disegno di legge potrebbe essere  impugnabile.

La notizia ha avuto vasta eco nel mondo per la sua portata innovativa in tema di diritti e di inclusione e perché di segno opposto con le misure adottate in altri Stati d’oltreoceano.  Alabama, Colorado, Florida, Arizona e North Dakota hanno infatti approvato negli ultimi anni leggi elettorali che consentono solo ai cittadini statunitensi di votare. Ma, come osserva il New York Times, la Grande Mela non è la sola realtà controcorrente: diverse città del Maryland e del Vermont concedono già ai non-cittadini alcuni diritti di voto municipali, mentre diversi comuni progressisti in California, Illinois, Maine e Massachusetts stanno valutando una legislazione simile. Inevitabilmente, però, l’allargamento della base elettorale preoccupa gli ambienti repubblicani della metropoli, che temono una raffica di nuovi voti progressisti, sebbene tra loro non tutti sono pessimisti sull’esito delle prossime elezioni cittadine, perché il voto democratico dei domenicani potrebbe essere compensato dalle scelte dei residenti di origine cinese, di cui non si sa nulla. Qualche voce scettica si è levata perfino tra le file dei democratici, come dimostra la dichiarazione di Mark Gjonaj, rappresentante liberal del Bronx, secondo cui questa apertura «potrebbe rendere le elezioni vulnerabili e finire per essere messa a rischio da persone “di passaggio”». Dubbiosa anche l’afroamericana Laurie Combo, leader dei democratici in Consiglio, che teme un minor peso elettorale dei voti Black e un aumento di quelli domenicani.

Tra i commentatori italiani, a rimarcare il significato simbolico della notizia è Maurizio Ambrosini, giornalista di Avvenire, che vi intravede uno spiraglio di luce nell’odierno panorama di tendenze allarmanti. Nel suo articolo fa notare che anche diversi Paesi dell’Unione europea (Scandinavia, Benelux, Irlanda, Spagna e Portogallo) ammettono già, con alcune limitazioni, il diritto di voto locale per i cittadini di Paesi terzi con una certa anzianità di residenza. E aggiunge che a livello comunitario si discute da tempo sull’estensione di tale diritto a tutti i Paesi dell’Ue in modo da uniformare i diritti degli immigrati in tutta l’Unione. Nella realtà italiana, invece, il modello inclusivo d’oltreoceano per ora non rappresenta una prospettiva praticabile, non solo per la complessità inerente alla questione, ma anche per la  reticenza dei nostri partiti, che temono di perdere consenso tra gli elettori contrari a una maggiore integrazione degli immigrati. «La posta in gioco – afferma Ambrosini – è anche simbolica e politica nel senso più alto del termine: si tratta di definire chi fa parte a pieno titolo della polis e ha diritto di parola nelle scelte che riguardano la vita collettiva… di stabilire chi è nostro con-cittadino, legato a noi da una comune adesione al territorio e alle sue istituzioni…  Per questo la scelta di New York rappresenta un passo avanti nella direzione di una maggiore giustizia, e un esempio per altri attori e istituzioni.»

Concludo con un’annotazione che conferma la tendenza al cambiamento in atto a New York: una donna, Keechant Sewell, è appena stata nominata alla guida del Dipartimento di polizia della città, il più grande degli Stati Uniti. Ad affidarle l’incarico è stato il nuovo sindaco che governerà New York dal 2022, Eric Adams, afroamericano di umili origini ed ex poliziotto, che ha vinto le ultime elezioni con il 67% dei voti a suo favore, contro il 27% del suo avversario, Curtis Sliwa, conduttore radiofonico conservatore e fondatore delle sentinelle anticrimine Guardian Angels«Una donna, nera, figlia di un marine e cresciuta al Queens – osserva Paolo Mastrolilli in un articolo su Repubblica. Se il nuovo sindaco di New York Eric Adams voleva lanciare un segnale sulla rivoluzione che prepara in città, sarebbe stato difficile immaginarne uno più efficace della nomina di Keechant Sewell a capo del Dipartimento di Polizia. Una sfida che riguarda insieme lui, la questione razziale, quella di genere, e la necessità impellente di riportare l’ordine nella Grande Mela».

 

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