Il lavoro al centro

 

Gabriella Carlon
05-11-2021
Non esiste politico che non proclami questo assunto: ma cosa vorrà dire? L’espressione è ambigua. Si intenderà che debba essere messo al centro dell’attenzione l’interesse dei lavoratori o il profitto degli imprenditori?
Se intendiamo con lavoro l’insieme dei lavoratori, cioè di coloro che vivono del proprio lavoro o della propria pensione pagando regolarmente tutte le tasse dovute, certo il lavoro negli ultimi decenni è stato “al centro”, in quanto oggetto di attacchi continui per sminuirne il valore, sia in termini culturali che economici.
La vita di chi lavora poggia, come si sa, su tre pilastri: salario, pensione (salario differito), servizi pubblici (casa, sanità, scuola, trasporti). Negli ultimi tempi i Governi di ogni colore, con qualche piccola sfumatura, hanno pesantemente attaccato tutti e tre i pilastri: i salari sono tra i più bassi dell’area occidentale, le pensioni dei nostri figli non saranno neanche in grado di garantirne la sopravvivenza, i servizi, sempre più privatizzati, hanno un costo in continuo aumento, nonostante i proclami relativi all’universalità dei diritti. Tutto ciò sorretto da un progressivo smantellamento dei diritti stabiliti dallo Statuto dei lavoratori: operazione che ha portato, dalla legge Biagi al Jobs Act di Renzi, all’estrema precarietà dell’occupazione dei giovani (e non solo), a un numero enorme di finte partite IVA, a licenziamenti collettivi, a delocalizzazioni per puro incremento del profitto (magari dopo aver goduto di aiuti e vantaggi vari a carico della fiscalità generale) e a una sempre minor ruolo della contrattazione collettiva. Se un lavoratore si trova perpetuamente legato a un contratto temporaneo, quale forza rivendicativa può avere, essendo in costante rischio di non rinnovo del contratto?
Il problema grave è che, ormai da tempo, i lavoratori sono privi di rappresentanza politica, condizione imprescindibile per la difesa dei diritti, oltre che, direi, per una convivenza democratica. Va di moda, in nome della modernità, dichiararsi né di destra né di sinistra, ma, come ci ha insegnato Bobbio, una differenza esiste: mentre la Destra persegue in primo luogo la libertà d’impresa, la Sinistra pone l’accento sull’uguaglianza. Attualmente la parola uguaglianza è diventata tabù. Il segretario del PD (che dovrebbe essere il maggior partito “di sinistra”), a caldo, subito dopo la sua elezione al Parlamento, promette sicurezza e libertà, senza alcun cenno alla necessità di mitigare le disuguaglianze, cresciute a dismisura negli ultimi decenni e  durante la pandemia.
Purtroppo la crescita delle disuguaglianze non è un fenomeno solo italiano, ma diffuso a livello mondiale. E’ il risultato di decenni di politiche che, tolti “lacci e lacciuoli”, hanno deregolamentato ogni rapporto di lavoro, lasciando libero il mercato di operare con contratti precari fino all’assurdo, appalti e subappalti, lavoro nero senza controlli: unico obiettivo il profitto che, va sottolineato, non prende la strada del reinvestimento in attività produttive creatrici di nuova occupazione, ma va ad accrescere il capitale finanziario.
A ciò si aggiunga l’intervento dello Stato che ha favorito la svalutazione del lavoro e dei salari non solo sul piano normativo con leggi ad hoc, ma anche sul piano economico con trasferimenti dalla fiscalità generale alle imprese per la necessaria innovazione. In questa prospettiva si sta muovendo anche il governo Draghi, col beneplacito di tutti i partiti, devolvendo alla imprese ingenti somme e privatizzando quanto è ancora privatizzabile dei servizi, e persino dell’acqua. In buona sostanza la crescita deve ripartire secondo lo stesso modello di sviluppo che ha causato guasti immani sia al pianeta sia all’umanità.
Nessuno fa parola di combattere l’evasione fiscale, né di creare un sistema di tassazione realmente progressivo che vada a colpire i redditi e i patrimoni elevati, anzi si riducono le imposte: gli applausi dell’Assemblea di Confindustria a Draghi ci dicono già a chi verranno ridotte. Giova ricordare che la riduzione del gettito fiscale significa incrementare i servizi a pagamento, compresa la sanità. Per tenere a bada i poveri generati da questo sistema bisogna dare loro qualche briciola col reddito di cittadinanza (che qualcuno vorrebbe anche abolire) e con la distribuzione di bonus vari: diverse forme di “elemosina” pubblica.
Questa ideologia, derivata dalla teoria dello sgocciolamento, ha pervaso l’intero mondo politico e buona parte di quello sindacale, che non ha avuto la forza numerica e culturale di elaborare e proporre un diverso modello di sviluppo, limitandosi a una funzione rivendicativa di modelli pregressi. Con il risultato che forse gli stessi lavoratori oggi sono convinti che non esista altro modello economico.
Se mettere “il lavoro al centro” produce questi effetti, non sarebbe meglio… lasciarlo in periferia?
Basterebbe rispettare la nostra Costituzione che, prevedendo una Repubblica fondata sul lavoro, è pervasa da uno spirito profondamente solidale.

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