La Repubblica tutela la salute – parte prima

Gabriella Carlon
19-11-2023
Salute: dall’art. 32 ad oggi
Ripercorriamo brevemente il percorso per capire la situazione attuale.
L’articolo 32 della Costituzione recita:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti” .
In modo inequivocabile la Costituzione sancisce il diritto alla salute come diritto non solo proclamato ma garantito. Si dice che la salute è un diritto fondamentale “dell’individuo” quindi universale, a prescindere dalla cittadinanza, valido quindi anche per gli stranieri e si precisa che la salute è “interesse della collettività” cioè un bene comune.
Questi due pilastri che reggono l’art. 32 vanno tenuti ben presenti.
Per dare attuazione all’articolo costituzionale, nel 1978 fu istituito (ministra Tina Anselmi) il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) che garantiva a tutti le cure necessarie, sia di prevenzione che di contrasto alle malattie. Il territorio nazionale fu diviso in Unità Sanitarie locali (USL). Si superavano così le diverse forme mutualistiche preesistenti, che erogavano cure solo a chi pagava i contributi per la sanità; prevale invece un principio solidaristico che garantisce l’universalità delle cure, erogate anche a chi, per disoccupazione o altri motivi, non contribuisce ad alcuna cassa per la malattia. La spesa sanitaria gravava sui contributi obbligatori di chi aveva un’occupazione e sulla fiscalità generale progressiva; tutti ne potevano fruire gratuitamente. Inoltre sulla base di un principio di uguaglianza, tutti avevano accesso alle medesime cure, mentre le varie casse mutue, esistenti in precedenza, erogavano cure diversificate. Esistevano differenze tra le diverse regioni, però l’orientamento era per una progressiva omogeneità territoriale.
Naturalmente continuava a sussistere una sanità privata, dove il malato pagava di tasca propria, o attraverso un’assicurazione, le cure cui intendeva sottoporsi; ma solo una piccola parte della popolazione, ricca, poteva permettersi questo trattamento, che risultava pertanto marginale.
Il SSN fu giudicato un sistema tra i migliori al mondo, anche per la sua efficienza rispetto alla spesa, ma la totale gratuità delle prestazioni suscitò molte discussioni che portarono, nel 1980, all’introduzione del “ticket”, cioè del pagamento di un contributo su farmaci, visite specialistiche e analisi a carico di chi ne fruisce, cioè del malato: una prima forma del venir meno del principio solidaristico.
Nel 1992 (ministro De Lorenzo) si introduce una profonda riforma che aziendalizza sia gli ospedali sia le USL (che diventano ASL-Aziende Sanitarie Locali). Di conseguenza ogni ente sanitario deve essere gestito come un’azienda, per favorire la concorrenza pubblico-privato; lo Stato finanzia direttamente le prestazioni erogate dal privato che ha ricevuto un “accredito”, cioè ha stipulato una convenzione. Il paziente diventa un cliente e l’azienda sanitaria, se pubblica, deve mirare a limitare la spesa, se privata, ad allargarla, per garantire maggiori rimborsi e quindi profitti agli investitori.
Il processo di privatizzazione della sanità pubblica viene solo parzialmente attenuato nel 1999 (ministra Bindi) dalla riforma che sostituì al principio della concorrenza pubblico-privato (che presupponeva la parità), il principio della integrazione, cioè il privato-convenzionato, poteva intervenire rispetto ai bisogni di un determinato territorio, quando non soddisfatti dal pubblico. Il pubblico avrebbe avuto così la preminenza, con funzione di programmazione e di controllo; però la stessa riforma introdusse la possibilità di svolgere attività privata-privata, cioè pagata dal malato, entro l’area ospedaliera pubblica.
In sintonia con il neoliberismo imperante sembrò evidentemente un vero spreco ai legislatori nazionali e locali tener fuori dal mercato un settore così potenzialmente redditizio come la sanità.
In questa fase il privato-convenzionato si allargò a dismisura, occupando non tanto gli spazi carenti del servizio pubblico in funzione complementare, ma procedendo a una vera sostituzione del servizio pubblico. In questo processo la Lombardia si è distinta come modello per le altre regioni italiane. Per altro tale modello sembra piacere molto ai cittadini lombardi, che votano, per ben quattro mandati (1995-2013), quale Presidente della Regione, Roberto Formigoni, fautore della definitiva privatizzazione della sanità. Lo slogan su cui si fondava il suo grande successo elettorale era la possibilità della “libera scelta” tra pubblico e privato-convenzionato: per molti il secondo era preferibile al primo, perché andare in “clinica” era meglio che andare in “ospedale”, dove magari rischi di trovarti perfino accanto degli extra-comunitari.
Anche negli anni successivi (fino alla riforma Moratti 2021) si riaffermò in Lombardia il principio della parità pubblico-privato, che consente l’accreditamento indiscriminato degli erogatori privati. L’obiettivo della trasformazione non era tanto “la libera scelta”, ma il passaggio al privato di settori importanti della sanità, oltremodo redditizi, perché il privato può scegliere i settori che portano maggiori profitti, lasciando al pubblico quelli meno remunerativi. L’emergenza Covid ha reso palese questo meccanismo, per chi non lo avesse compreso chiaramente prima della pandemia.
Anche altre riforme hanno agito negativamente sulla sanità: con la sciagurata modifica del Titolo V (2001) venne meno l’universalismo territoriale, per altro mai pienamente realizzato neanche in precedenza. Allo Stato tocca la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ma “la tutela della salute” passa alle Regioni: si creano così ulteriori disparità, che vanno a incrementare i trasferimenti regionali dei malati alla ricerca di una sanità migliore.
Altro fattore negativo è l’introduzione nella Costituzione del Pareggio di bilancio (2012), che ha come conseguenza la programmazione delle varie forme di cura “nei limiti delle risorse disponibili”. Chi sarà prevalente: il Pareggio di bilancio o l’art. 32, visto che hanno entrambi forza costituzionale? La priorità spetta al bilancio o al malato? La Corte Costituzionale potrebbe dare utili indicazioni.(1)

(segue)
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Note

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