Estrazioni minerarie in alto mare – Andremo a sbattere?

 

L’Uomo odierno, tecnologico, costruttore, mercantile, finanziario, ecc. è riuscito a violare il Pianeta nei modi più fantasiosi. Le procedure per avviare l’estrazione mineraria sugli alti fondali marini sono ormai vicine all’operatività.
Una pratica che nette in allarme la comunità scientifica per il rischio di attivare un nuovo disastro ecologico non dissimile da quelli che abbiamo sotto gli occhi.

 Eraldo Rollando
12-03-2024
In un precedente articolo  (clicca per leggere) sullo stesso tema abbiamo parlato sostanzialmente dell’accaparramento, da parte di molti Paesi, di importanti materiali (minerali e terre rare), ritenuti oggi indispensabili alla realizzazione di ogni genere di impianti o strumenti per la produzione o l’utilizzo di energia: dalla costruzione di turbine eoliche, alle batterie per veicoli elettrici, dalle reti elettriche alle batterie degli smartphone e ai pannelli solari, per citare solo alcuni impieghi. Tutto ciò nell’ottica di ricorrere a energia da fonti rinnovabili e di abbandonare l’utilizzo, quasi totale, di combustibili fossili, responsabili dei cambiamenti climatici in atto, per raggiungere la “neutralità climatica” entro il 2050.
Sulla strada, si profila un rischioso inciampo: fonti autorevoli hanno calcolato che l’attuale disponibilità di questi materiali non sarà sufficiente a centrare l’obiettivo.
Esisterebbe, però, una possibilità –  nota da tempo a ricercatori e tecnologi – di estrarre questi materiali anche negli alti fondali marini e in questa direzione si sta rivolgendo l’attenzione delle industrie minerarie e degli Stati per cogliere questa nuova e forse decisiva  opportunità. Un’opportunità che  non è affatto priva di controindicazioni rispetto ai problemi ambientali che questa tecnologia potrebbe comportare (vedi sempre l’articolo citato in apertura). Ciononostante, la Norvegia si è subito dichiarata pronta a dare inizio all’estrazione sui fondali, seguita “a ruota” da altri tre o quatto competitor. E questo ha messo in allarme chi teme un’ulteriore forma di impatto sull’ecosistema del pianeta.
Ora, la nostra convinzione è quella di avanzare decisamente verso la transizione energetica, ma di farlo nel rispetto dell’ambiente in cui viviamo preservandolo e curandolo, ove e quando necessario, onde evitare il ripetersi degli errori che, in nome del “progresso”, sono stati fatti nel passato. Ma pare che ancora oggi la direzione di marcia non sia stata invertita.
In un articolo del 2marzo 2024, il quotidiano Avvenire titola La corsa alle materie prime sta uccidendo il clima globale. (clicca per leggere)
E’ per tutto questo che facciamo nostro il severo richiamo degli scienziati, da più parti giunto, a non rischiare di sconvolgere anche l’ecosistema marino, del quale poco si sa, e che pare scivolare sulla pelle e sulle coscienze dei responsabili politici come acqua primaverile.

Secondo uno studio (1) curato da Camillo Mora e altri esperti della Dalhousie University di Halifax (Canada), pubblicato su National Library of Medicine,  “l’86% delle specie terrestri e ben il 91% di quelle marine sono del tutto sconosciute. Delle 8,7 milioni di specie stimante, 6,5 milioni sono organismi che vivono sulla terra, e2,2 milioni nei mari (± 180 mila)”
Quindi, quale disastro ecologico ci prepareremmo ad aggiungere a quello che già oggi è sotto i nostri occhi e per il quale, paradossalmente, cerchiamo di correre ai ripari?
Purtroppo, a nulla serve recriminare sul fatto che, nei decenni passati, la scienza non abbia sufficientemente allertato i governanti della Terra sui rischi del cambiamento climatico. Negli ultimi 35 anni, gli interessi economici dei grandi produttori di idrocarburi e degli Stati più interessati al loro impiego hanno prevalso  sul pericolo di un degrado ambientale irreversibile. Molti sorrisi e tante promesse mancate si sono succeduti già dalle prime Conferenze  (clicca per leggere) sul clima, a partire da quella a Rio de Janeiro nel 1992.
Oggi siamo arrivati con “l’acqua alla gola(clicca per leggere) sia metaforicamente che nella realtà. 
Abbiamo riempito i mari di ogni genere di rifiuti e di veleni, siamo riusciti a creare una gigantesca isola di plastica che galleggia nell’Oceano Pacifico, alla quale è stato assegnato il nome di Great Pacific Garbage Patch (Grande chiazza si spazzatura del Pacifico).
Secondo l’associazione non-profit olandese Ocean Cleanup, questa isola, detta anche Pacific Trash Vortex, può contenere fino a1.800 miliardi di pezzi di plastica, per un peso di circa 80.000 tonnellate metriche, su una superficie grande tre volte quella della Francia (Fonte National Geographic Italia ). 
Eppure l’attenzione, anche questa volta non disinteressata, si sta spostando su una tecnologia che presenta notevoli rischi di devastazione ambientale sottomarina.
L’Uomo, purtroppo, presenta, come l’ambiguo  Giano bifronte di romana memoria, le due diverse facce del suo animo. In lui coesistono il rispetto del creato e una pulsione distruttrice, figlia della bulimia di guadagno e di potere.
L’Uomo odierno, tecnologico, costruttore, mercantile, finanziario, ecc. è riuscito a violare il Pianeta nei modi più fantasiosi. Un esempio eclatante viene dagli USA, dove una recente tecnica permette l’estrazione del petrolio attraverso la frantumazione dei cosiddetti scisti bituminosi con potenti getti d’acqua che “intrappolano” il petrolio a due chilometri di profondità, per raccoglierlo e portarlo alla superficie. Gravi sono i danni ambientali causati da questo ciclo estrattivo, tra cui l’uso del suolo e dell’acqua, lo smaltimento dei rifiuti, la gestione delle acque reflue, le emissioni di gas serra, l’inquinamento atmosferico e il rischio di contaminazione delle falde acquifere.
Analogo procedimento inquinante viene usato per l’estrazione di gas metano intrappolato nella microporosità delle rocce.

La situazione del pianeta in cui viviamo e da cui dipende la nostre vita è molto preoccupante. Dopo avere riempito di “spazzatura” tecnologica lo spazio sopra la nostra testa (a 36’000 km di quota stazionano satelliti attivi e un numero incredibilmente alto di satelliti ormai “morti”), violato la superficie e il sottosuolo terrestre con ogni genere di attività estrattiva, avvelenato fiumi e mari con ogni tipo di rifiuto,disboscato immense aree mai violate dall’uomo in passato, oggi si sta per aggiungere anche lo sconvolgimento dei fondali marini.
E forse non è sbagliato affermare che l’Umanità sembra presa da una sorta di “Cupio dissolvi”, una ferma volontà masochista di autodistruzione, di cui parlava il comico romano Plauto nel secondo secolo A.C.

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Nota: immagine d’apertura da faremusic.it
(1)  “Secondo uno studio ….”  (apri il link – in inglese – https://pubmed-ncbi-nlm-nih-gov.translate.goog/21886479/ )

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