Sfiorano i due milioni le famiglie italiane in povertà assoluta

I più poveri dei poveri sono raddoppiati dal 2004 a oggi. Non si è avverata l’ottimistica profezia di chi pensava che il liberismo economico e lo sviluppo tecnologico avrebbero risolto i problemi di tutti.

Adriana F.
02-05-2023
«Collettivamente i poveri sono inafferrabili. Oltre a essere la maggioranza del pianeta, sono dappertutto e anche il più piccolo evento parla di loro. Ecco perché oggi l’attività fondamentale dei ricchi è costruire muri». Questa frase dello scrittore britannico John Berger fa da incipit a un ottimo articolo di Giuseppe Rizzo, intitolato “Guai a essere poveri in Italia”, apparso in gennaio su Internazionale (clicca) che offre una panoramica sulla povertà in tutte le sue sfaccettature, facendo anche riferimenti storici al problema e al modo con cui si è scelto di mettere la testa sotto la sabbia.

A commento di quelle parole, scritte nel 2004, Rizzo precisa che, da allora, gli italiani in povertà assoluta sono raddoppiati, arrivando oggi a quasi sei milioni.
I dati statistici presentati in gennaio non sorprendono quasi nessuno: i poveri vivono spesso vicino a noi,

li incontriamo ogni giorno per strada, li vediamo nelle lunghe file davanti alle mense benefiche o alle sedi degli enti assistenziali e di notte nei sacchi a pelo in qualche angolo di marciapiede o vicino alle stazioni. Tra loro ci sono individui che hanno perso il lavoro, altri che non ne hanno mai trovato uno regolare e hanno dovuto accontentarsi di lavoretti saltuari e mal pagati, immigrati in attesa di permesso di soggiorno per poter sperare in un’occupazione decente, italiani e italiane che hanno subito pesanti conseguenze dalle calamità dell’ultimo triennio: la pandemia, l’aumento dei prezzi  causato dalla siccità e dal conflitto russo-ucraino, oppure il licenziamento per chiusura o delocalizzazione oltre confine degli stabilimenti produttivi. E ancora, ci sono le sventure personali o familiari, come le malattie invalidanti, la perdita di un coniuge o una separazione che lascia il partner quasi senza reddito, l’età avanzata di molti soggetti rimasti disoccupati, che non riescono a riciclarsi per  mancanza dei requisiti necessari ad accedere all’odierno mercato del lavoro…
Dall’altra parte della barricata, come nel resto del mondo, i “nababbi” nostrani accumulano ricchezze sempre più consistenti con operazioni industriali o finanziarie molto redditizie (e talvolta fittizie), favoriti da leggi che ignorano o premiano l’evasione fiscale sottraendo risorse al budget dello stato che dovrebbe provvedere ai bisogni della collettività.

L’emergenza povertà in Italia è stata messa sotto la lente di ingrandimento al World Economic Forum 2023, tenutosi in gennaio a Davos. In quella sede Mikhail Maslennikov di Oxfam Italia (organizzazione non governativa che monitora le diseguaglianze sociali ed economiche nel mondo), ha ricordato che nel 2022 i salari dei lavoratori italiani sono diminuiti del 6% e che, nonostante il sostegno dei trasferimenti pubblici emergenziali, le famiglie in povertà assoluta risultano oggi il 7,5% dei nuclei familiari nazionali.
Al di sotto di un dignitoso standard di vita vivono anche 1,4 milioni di bambini, ragazze e ragazzi minorenni. Le loro famiglie (42,2 per cento) sono equamente distribuite nel sud e nel nord del paese, e molti (il 45%) abitano in case in affitto. Nel 25% dei casi uno dei genitori lavora, ma il lavoro non sempre protegge dal rischio povertà, che riguarda tanto gli operai, che sono il 13,3% del totale, quanto i liberi professionisti (1,8%).
Questi numeri indicano che molti nostri connazionali dispongano di “un livello di spesa insufficiente a garantirsi uno standard di vita minimamente accettabile” e collocano l’Italia agli ultimi posti nella graduatoria europea.
La stessa ONG ha anche posto l’accento sul dilagare del lavoro povero, che rappresenta una caratteristica strutturale del mercato italiano. A fronte di ciò Maslennikov si è detto preoccupato perché il nostro governo, invece di disincentivare il ricorso al lavoro atipico che mantiene in condizione precaria di milioni di lavoratori, «allarga le maglie per il lavoro discontinuo e invoca ulteriori interventi di flessibilizzazione. La previsione di un salario minimo non è all’ordine del giorno e gli incentivi all’occupazione all’insegna del “più assumi, meno paghi” non sono valutati sotto la lente della qualità e sostenibilità dell’occupazione promossa, lasciando il ruolo per lo sviluppo di una buona occupazione alle convenienze economiche e fiscali delle imprese».

A confermare la dimensione della povertà in Italia sono diversi enti e istituzioni che usano finalità e tipi di approccio differenti: l’ISTAT, che puntualmente fotografa i cambiamenti del contesto socioeconomico italiano, ma anche università, centri studi, associazioni e fondazioni benefiche. Tra queste un ruolo di primo piano spetta alla Caritas che, oltre a segnalare l’entità dei dati, puntualizza come il reddito di cittadinanza sia stato finora percepito da 4,7 milioni di persone, ma è riuscito a raggiungere solo il 44% dei poveri assoluti, mentre sono state lasciate affondare diverse categorie di persone, come gli stranieri, le famiglie che abitano in edifici occupati, i lavoratori che guadagnano poco più delle soglie previste dalla legge e molte persone che vivono in condizioni di “povertà relativa” (definizione Istat), ovvero quelle che non fanno la fame o… non la fanno abbastanza per accedere agli aiuti.

Di notevole interesse è anche il secondo rapporto sulla povertà delle famiglie nelle periferie più disagiate di sei città (Milano, Perugia, Genova, Napoli, Catanzaro, Palermo); una ricerca realizzata dalla Fondazione L’Albero della Vita (clicca) con la supervisione scientifica dell’Università degli Studi di Palermo. L’indagine conferma l’aumento della povertà materiale rispetto all’anno precedente e offre  una fotografia qualitativa di tale condizione, mostrando come cambiano le necessità e le criticità delle persone
In tema di alimentazione, viene precisato che il 68% del campione analizzato non riesce o non riesce sempre a garantire tre pasti al giorno in famiglia. Il 50% non riesce o non riesce sempre a garantire almeno un pasto al giorno a base di carne, pesce o equivalenti vegetali, e il 58% non riesce a mangiare frutta e verdura fresche ogni giorno.
Ancora più stupefacente è il fatto che solo 37% degli intervistati riceve effettivamente sostegno dalle misure statali, mentre il 63% non ha alcun tipo di aiuto e molti non sanno nemmeno di averne diritto.

Persone senza tetto o fissa dimora (clicca sull’immagine per ingrandire)

Un aspetto particolarmente apprezzabile del rapporto è l’attenzione al tema della povertà educativa, che spesso si traduce in deprivazione culturale. Infatti, nelle famiglie povere assistite dalla fondazione, i bambini e i ragazzi fino a 18 anni non fruiscono di attività culturali, artistiche o ludico-ricreative. “Non vanno al cinema, a teatro, nei musei, non fanno sport e non ascoltano musica. Tutto questo genera un forte impatto sulle loro capacità relazionali e psicologiche. Nascono così bambini che faticano ad avere a che fare in modo sano con gli altri e con se stessi, con grandi difficoltà nella gestione delle emozioni”. Il loro standard di vita non permette loro di sognare e di immaginare. E senza sogni e immaginazione, questi bambini non saranno in grado di pensare un futuro diverso e non avranno strumenti per emanciparsi dallo stato di bisogno. È quindi necessario far tornare i sogni e la capacità di immaginazione nell’esperienza di questi bambini affinché possano emanciparsi dalla condizione attuale.

Che fare per rimediare a un simile problema? Nonostante gli appelli di chi opera a favore dei più deboli, la politica nazionale al momento non sembra avere in programma sostanziali interventi per arginare la povertà assoluta e ridurre le disuguaglianze. L’unica speranza che oggi si può realisticamente esprimere è che almeno non vengano cancellate le forme di aiuto erogate negli ultimi anni a favore dei cittadini più svantaggiati.
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