Diritti universali? Puntata 6 – Giappone, Cina, India

Mentre il Giappone risulta sostanzialmente allineato alla visione occidentale dei diritti, pur con qualche aspetto da migliorare, la Cina ha compiuto passi avanti ma presenta numerose criticità da risolvere. Molto problematica, invece,è la situazione in India, dove il discriminatorio sistema delle caste risulta profondamente radicato nella cultura locale.

Eraldo Rollando
7-12-2019

Giappone
Nell’area asiatica, come già detto, un discorso a parte va fatto per il Giappone. Tra gli altri rappresenta, senza dubbio, un paese in cui i diritti civili ed economici sono molto vicini a quelli delle democrazie occidentali, un traguardo raggiunto solamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, con la sua sconfitta e l’occupazione da parte dell’Esercito americano.
Fu il generale MacArthur a imporre una pesante revisione della costituzione spostando il “focus” dalla figura dell’Imperatore a quella delle persone. ll preambolo dell’attuale costituzione afferma: “il governo viene dal popolo, i poteri esercitati dai rappresentanti del popolo, ed i benefici di cui godono le persone provengono dal popolo stesso”; per noi una normalità, ma una rivoluzione per l’epoca, anche se già dalla fine del XIX secolo alcuni studiosi avevano in corso progetti di revisione costituzionale.
E il riferimento ai diritti umani, inseriti nella costituzione lascia stupiti se si pensa alle parole “fierezza, orgoglio, dovere e obbedienza assoluta” con le quali il paese era entrato in guerra il 7 dicembre 1941; sempre nel preambolo troviamo la citazione: “Ci rendiamo conto che tutti i popoli del mondo hanno il diritto di vivere in pace, liberi dalla paura e dal timore. Crediamo che nessuna nazione sia responsabile per se stessa soltanto, ma che le leggi della morale politica siano universali; e che l’obbedienza a tali leggi incomba su tutte le nazioni che vogliono sostenere la propria sovranità e giustificare le loro relazioni con le altre nazioni sovrane”.
I diritti umani non sono stati, comunque, una priorità per il governo giapponese nel periodo immediatamente successivo all’occupazione; fu solo dal 1950 che il paese prese coscienza del problema e iniziò a collaborare con il Consiglio dei Diritti umani dell’ONU
Ciò nonostante, tra le revisioni da completare – ma quale paese dell’area occidentale non ha, almeno nei fatti, da migliorare il proprio rapporto con i diritti umani? – resta il miglioramento del sistema carcerario: per la sua particolare durezza nei confronti dei detenuti, necessita di un’attenta revisione.
Da ultimo, è il caso di ricordare che dal diritto penale giapponese non è stata ancora espunta la pena di morte anche se, a Occidente, la mantengono ancora quattro stati: Stati Uniti d’America, Barbados, Guyana e Trinidad/Tobago .

Cina
In termini di diritti umani, parlare male della Cina sembra un esercizio scontato.
E’ un paese in cui le Organizzazioni internazionali per il controllo dei diritti non hanno difficoltà ad entrare, ma hanno difficoltà a interloquire positivamente con le gerarchie governative, soprattutto per quanto riguarda l’area dei diritti civili. Il Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite ha svolto nel 2016 l’ultimo “Esame periodico universale” (UPR) del Rapporto ufficiale presentato dal Governo di Pechino mettendolo a confronto con il cosiddetto “Rapporto ombra” (1)– una procedura adottata dal Consiglio per tutti gli stati.
“Il rapporto presentato dalla Cina ha esposto ottimisticamente gli sviluppi in termini di diritti umani avvenuti nel paese, sia in ambito di diritti economici, sociali e culturali sia in ambito di diritti civili e politici … La Cina (però) ha sempre posto priorità sulla prima categoria di diritti e fa spesso riferimento alla necessità di sviluppo economico e al diritto allo sviluppo”.(crediti)
Il punto sta proprio qui, nonostante le dichiarazioni ufficiali, il Rapporto Ombra segnala un progresso minimo, se non uno stallo nell’implementazione di leggi che tutelino i diritti individuali.
Probabilmente la direzione politica del paese si rende conto che, data la sua preponderante collocazione sul libero mercato delle merci e dei capitali, non può esimersi dal trovare soluzioni riguardo a questo punto. Dal 2004 cerca di dotarsi di una Istituzione nazionale per i diritti umani indipendente, in linea con la Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Onu, attraverso una Conferenza organizzata dalla China University of political science and law (CUPL), dal Raoul Wallenberg institute of human rights and humanitarian law e coinvolgendo successivamente anche l’Asia-Pacific forum of national human rightsinstitutions (APF). Ma a distanza di quindici anni, nulla si è ancora mosso. (crediti)
La Cina ha firmato, (2) ma non ha mai ratificato la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, anche se da tempo chiede di essere ammessa al Consiglio sui diritti Umani dell’ONU.
Dei sei più importanti trattati (3) due non sono stati ratificati e, guarda caso, si tratta di Patti che impegnerebbero pesantemente il paese di fronte alla comunità internazionale e sono:
-Patto internazionale sui diritti civili e politici (clicca),
– Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale
In relazione a quest’ultimo, “ … sulle richieste di adesione allo Statuto di Roma, la Cina ha affermato il proprio rispetto e l’importanza attribuita al diritto penale internazionale ma ha sottolineato le criticità che parte della comunità internazionale ha sollevato contro la ICC (Corte penale internazionale), spesso accusata di non essere imparziale e di essere eccessivamente focalizzata su determinati paesi. La Cina ha quindi rifiutato di aderire allo Statuto di Roma.” (crediti)

India
Forse più di Cina e Russia, l’India è un paese molto complesso da governare; è la più grande democrazia del mondo con circa un miliardo e trecento milioni di abitanti e le ragioni della sua complessità stanno, appunto, nelle grandi dimensioni del paese e nell’enorme diversità etnica e religiosa all’interno dei propri confini.

La costituzione indiana prevede la piena espressione dei diritti fondamentali, tra cui la libertà di religione e la libertà di parola, così come la separazione tra potere esecutivo e giudiziario ed infine la libertà di movimento all’interno e all’esterno della nazione. (fonte Wikipedia)
Inoltre, in India operano la Commissione nazionale per i diritti umani a livello generale e diverse Commissioni per i diritti umani a livello dei diversi stati, istituite con il Protection of Human Rights Act del 1993, emendato nel 2006. La Commissione è composta da tre ex-membri della Suprema Corte e dell’Alta Corte e da due esperti nel campo dei diritti umani, nominati dal Presidente dell’India, su raccomandazione di un comitato composto da rappresentanti di diversi organi dello stato(fonte Università di Padova – Autore: Andrea Cofelice)
Ciononostante, il Rapporto annuale 2017-2018 di Amnesty International (clicca) ha rilevato gravi infrazioni relative a:
– Discriminazione e violenza basate sulle caste,
– Gravi violazioni dei diritti dei minori,
– Attacchi alla libertà di espressione e di stampa,
– Violazione dei diritti degli Adivasi, popolo aborigeno dell’India,
– Negazione dei diritti dei rifugiati e dei migranti,
– Tortura e maltrattamenti di persone sottoposte al fermo di polizia.
Un elenco lungo e non completo, che dimostra come spesso la distanza tra la formulazione dei diritti e la loro reale applicazione sia grande.

Nel 2018, a seguito di una sentenza della Corte Suprema indiana che rimetteva in discussione i pochi diritti concessi dalla “legge sulle Atrocità”, approvata nel 1989 proprio per colpire atti discriminatori e violenti contro i “fuoricasta” da parte degli appartenenti alle quattro caste ufficiali (clicca), milioni di persone riempirono le piazze indiane per manifestare la loro protesta per la sentenza della Corte (4); la risposta delle forze di polizia fu violenta: nove morti ufficiali e centinaia di feriti.
Il sito indiano Scroll.in (clicca), in un servizio dell’8-4-2018, in relazione alle violenze sui paria, basandosi su dati ufficiali, parla di “An atrocity every 10 minutes” – un’atrocità ogni dieci minuti.

(6, continua)
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Note:
(1) E’ chiamato “Rapporto ombra” quello redatto e presentato al Consiglio diritti umani delle Nazioni Unite da Organizzazioni o Istituzioni indipendenti per distinguerlo da quello redatto dallo Stato nazionalesullo stesso argomento.
(2) La ratifica di un trattato, accordo o patto impegna al rispetto, dal punto di vista legale, dei contenuti. Con la firma ci si limita a garantire l’autenticità del testo firmato e approvato dai plenipotenziari, ma non si viene legalmente obbligati al suo rispetto. Non tutti gli stati dopo la firma ratificano i trattati.
(3) Patto internazionale sui diritti Economici, Sociali e Culturali,
Convenzione sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio,
Convenzione sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne,
Convenzione contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti,
Patto internazionale sui diritti civili e politici,
Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale
(4) I fuori casta o paria o dalits sono circa 250 milioni – il 20 percento della popolazione totale.

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